Guerre culturali di sinistra e neoliberismo, un “sintomo” del capitale

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«In una politica sempre meno in grado di dare risposte sul piano economico, e quindi sempre più portata a dare risposte sul piano etico-culturale, noi tendiamo a separarci ideologicamente da un lato e dall’altro, a seconda di ragioni etico-culturali».

Al contrario, la conflittualità interna al governo effettivo di un’economia, che mira a integrare spazi, soggetti e pratiche della vita sociale in processi globali, anche violenti, di mercificazione, è invece l’espressione degli interessi di gruppi, in competizione tra loro, della classe dominante capitalistica. Interessi, la cui espressione culturale (sovrastrutturale) – per esempio, sulla questione dell’immigrazione o della gentrificazione urbana –, è utile a produrre egemonia culturale e a generare consenso politico. E, in questo senso, la conflittualità ideologica è “indifferente”, è già sempre ricompresa nella dinamica di un’economia orientata – jn modalità antagonista, la concorrenza – sempre solo alla valorizzazione del capitale.

Per Mimmo Cangiano, il problema è riconoscere che le lotte sovrastrutturali, che attengono a questioni etico-culturali e alle relative istituzioni rappresentative, sono tutte un “sintomo” del capitalismo. E fino a che il posizionamento politico di un movimento, di una lotta di rivendicazione, non “interessa” il piano strutturale del modo di produzione, per quanto possa assumere in alcune situazioni e fasi storiche della società una valenza progressista, non necessariamente è anti-capitalista. Anzi, a volte, può risultare pienamente compatibile con l’ideologia dominante, come è oggi quella neoliberista.

E, a questo proposito, Mimmo Cangiano invita a riflettere su una “suggestione”, che una lettura sintomatica del linguaggio culturale dominante è in grado di portare allo scoperto, sul fatto cioè che «c’è una stranissima consonanza tra le parole d’ordine delle guerre culturali di sinistra e le parole d’ordine del capitalismo neoliberale». Un elenco di parole interessante.

Ma una cultura di sinistra che non sappia riconoscersi come “sintomo” di ciò che accade sul piano di una prassi che è riconducibile all’organizzazione economica capitalistica, che possibilità ha di intervenire nella costruzione di una soggettività collettiva rivoluzionaria?

(4, continua)

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