Interrogarsi sulla natura della mediazione che l’innovazione tecnologica esercita nell’ambiente umano da cui emerge il suo stesso processo di progettazione ridisegna la questione etica come etica della responsabilità. È un approccio olistico alla progettazione (design), un portare l’attenzione sull’inter-relazionalità dinamica – il “tra” – che coinvolge i vari soggetti interessati, e l’ambiente nel suo insieme.
In pratica, l’innovazione responsabile svela come la concezione dell’individuo “costruttore” di sé stesso, come entità indipendente e a sé stante, non sia altro che una finzione ideologica. Al contrario, essa stabilisce il principio per cui la progettazione tecnologica comporta assumersi «la responsabilità per la responsabilità per gli altri», nel tempo appunto: progettare significa allora avere la consapevolezza che una tecnologia incorpora parametri che sono vincoli alle possibilità di scelta in futuro. Più ampia è la possibilità di scelta offerta – come il riciclo dei materiali impiegati –, maggiore è l’apporto di responsabilità di cui le generazioni future potranno farsi carico per la cura del mondo.
Un futuro del mondo che oggi si presenta come sfida della sua fine. Sfida che è l’esito di un’economia capitalistica di crescita, basata su una tecnologia energetica a basso costo (energia fossile), il cui funzionamento risponde sempre di più all’effetto Matteo: «Perché a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Vangelo di Matteo, v. 25, 29).
Ma anche la soluzione alla questione climatica che oggi si prospetta – la riduzione globale dell’energia di origine fossile, che non fa che perpetuare una mancata diffusione di benessere nei paesi poveri – sembra rispondere alla stessa logica di sviluppo diseguale. Più propriamente, allora, per Steven Umbrello, si dovrebbe parlare di «imperialismo ecologico» dell’Occidente.
La “fine del mondo” è forse solo l’immaginario dei paesi ricchi, che non hanno il problema di cosa mangiare domani.
(6, continua)