Qual è il senso delle “guerre culturali” per la lotta politica? Le guerre culturali sono «motori di coscienza politica e anche motori di emancipazione» – comprendere le diverse modalità dell’oppressione cui sono soggette le vite dei singoli produce un effetto liberatorio. Ma come uscire da un’idea “culturalista” dell’azione politica, che restringe a intervento di ordine etico-simbolico – assegna valore all’individualità dei soggetti subalterni su base identitaria, come effetto di una costruzione culturale – la lotta all’ingiustizia sociale in regime di economia capitalistica?
Per Mimmo Cangiano, il punto della questione sta «non nel rifiutare le guerre culturali, ma nel “materializzare” le guerre culturali, cioè riportarle alla loro componente materiale», «al loro legame con il piano del lavoro», perché è il piano «dove può cadere la “balcanizzazione” del fronte dei subalterni, e aprirsi una politica delle alleanze», oltre cioè la frammentazione dei soggetti di una potenziale lotta politica anti-capitalistica.
E tuttavia qual è il contributo delle guerre culturali alla lotta politica? Cosa insegnano le guerre culturali e il loro retroterra teorico di riferimento? Come le questioni identitarie (di genere, razza, abilità psico-fisica e orientamento sessuale), che intervengono nella creazione e nello sviluppo delle diverse soggettività, si intrecciano con il tema di fondo di uno stato permanente di espropriazione dei mezzi di sussistenza funzionale all’economia capitalistica?
È il concetto di classe, secondo Mimmo Cangiano, l’elemento che permette di “materializzare” le guerre culturali – perché si sta parlando di un rapporto sociale «brutalmente materiale» non riducibile appunto a semplice “discorso culturale”. Ma, in questa fase neoliberista della società – cioè dell’intervento dello Stato, in funzione della crisi espansiva dell’economia tardo-capitalista, nel garantire la subordinazione dispotica e brutale della società al processo di valorizzazione del capitale –, in questa fase, come è possibile organizzare una transizione verso un modello alternativo di società?
Un problema etico, anche: in un presente cui è «impossibile accomodarsi», come responsabilizzare le nostre vite per un futuro per il quale non rimane forse neppure più la speranza?
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