La consapevolezza che il mondo moderno è un immane artefatto di sistemi tecnologici impone, per Steven Umbrello, una svolta progettuale. In un mondo globale, la cui connettività “fisica” – come infrastruttura di collegamento materiale tra i sistemi – e insieme “logica” – come regolazione cognitiva, algoritmica, nella comunicazione, nello scambio di informazioni tra i sistemi – è diventata la condizione della nostra convivenza, non è più possibile ignorare l’impatto che la tecnologia esercita sul modo di condurre le nostre vite.
Una progettualità responsabile mira, nella costruzione di un oggetto, a integrare i valori degli individui nei contesti in cui ne faranno uso – una progettualità etica che rimane aperta, in progress, a contesti in cui la soluzione progettuale può rivelarsi problematica.
Questa relativa autonomia della progettazione degli oggetti non è qualcosa che può bastare a trasformare immediatamente la consapevolezza dell’inter-connettività dell’attività produttiva in un soggetto, in un individuo collettivo, in un “noi” responsabile della cura del mondo. E tuttavia questa svolta progettuale dimostra che è possibile ricondurre le condizioni tecnologiche della società, condizioni vitali, sotto il controllo di un’intelligenza generale, orientata a valori universali della vita, ed è possibile rimodellare quelle condizioni in accordo con essa.
Insomma, la potenza tecnologica della società può essere costruibile non solo nella forma di un sapere, ma nella forma di una pratica sociale, di un processo di adattamento alle richieste emergenti dai contesti reali della vita.
È su questa base pratica che è possibile realizzare quella condivisione di valori universali, e fra questi la reciprocità stessa, che è necessaria per la convivenza umana?
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