La «molecola efficace» del trattamento farmacologico produce un effetto di riduzione dell’uomo alla dotazione puramente biologica della vita – alla nuda vita dell’homo sacer (“sacer”, in latino, significa, appunto, separato).
L’approccio farmacologico investe la sfera del sentire e la vita emotiva, producendo, con la stessa efficacia del rito del pharmakos, una segregazione e una scissione della vita del soggetto all’interno di sé stesso.
Il pharmakon diviene qui l’espressione di un potere, pratico e simbolico, nel trattamento della patologia, non solo mentale, che, dando per scontata la crisi del legame sociale, finisce per regolare l’accesso al senso stesso dell’esperienza di sé, e divenire, a sua volta, espressione di una patologia della nostra vita sociale globale.
È possibile ricostituire quel senso di comunità, di socialità, di cui sentiamo il bisogno? Per Gino Pugliese, la pratica del «dialogo aperto», in psichiatria (ma non solo), offre forse, in questa direzione, una prospettiva di cura.
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