L’arte del ‘900, da Duchamp in poi, con l’esplosione dell’arte concettuale, tutta concentrata sulla propria natura di linguaggio, sui propri strumenti espressivi, e quindi su di sé, si è allontanata dal grande pubblico. Intanto, nei social network la creatività viene a occupare nuovi canali di espressione e di fruizione.
La creatività e l’arte possono essere patrimonio di tutti? L’arte può diventare così democratica da includere il «fare» e dell’artista e del fruitore nello stesso tempo?
Dalle impronte delle mani della Cuvas de la Manos in Patagonia, tredicimila anni fa, alla Mail Art degli anni ‘60, alcuni episodi della storia dell’arte sembrano convergere sull’idea di «orizzontalità creativa», di partecipazione orizzontale all’esperienza estetica, dove autore e fruitore coincidono.
A portare la discussione su questi temi ci aiuterà Stefano W. Pasquini.
1. L’orizzontalità dell’arte
L’arte cambia il mondo. Ma che ne è dell’arte in un mondo in cambiamento?
Il sistema dell’arte contemporanea riflette, per Stefano W. Pasquini, uno stato di profonda crisi del suo linguaggio. Effetto, questo, di un’estraneità dell’arte da una pratica della socialità, dell’arte come espressione della comunità.
I nuovi media, che modellano il sistema delle relazioni sociali, stanno modificando l’accesso al alla creatività artistica. Al loro interno si apre quella che Stefano W. Pasquini definisce «orizzontalità dell’arte», un uso della creatività quotidiana, a disposizione di tutti.
Come nella formula di Joseph Beuys, siamo tutti artisti? E forse lo si è nel momento in cui, all’interno di una comunità, il prendersi cura delle cose è fare le cose ad arte.
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2. Il mondo digitale: un accesso orizzontale alla creatività?
Chiamati a essere creativi? Per applicare la creatività a nuove forme di convivenza? È un bisogno storico?
Instagram è un canale di espressione individuale e di interazione sociale, uno strumento aperto alla creatività della società? Ma i social media a quale algoritmo di preferenze consegnano la visibilità del gesto creativo – come può esserlo un semplice scatto fotografico?
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3. Social media: chi educa chi?
Siamo ancora capaci di un desiderio creativo? O siamo solo più alla ricerca di una soddisfazione narcisistica?
La visibilità, che la quantità di «like» (mi piace) dei social media assicura, sembra espandere a dismisura questa disposizione. Al sistema di interazione dei nuovi media corrisponde un nuovo modellamento della nostra vita sociale. Ma verso quale direzione?
È una società, la nostra, di individui narcisisti senza più il senso del limite? È ancora possibile un’esperienza del limite, entro cui esercitare un senso di pienezza della nostra vita?
Si tratta forse di affidare la nostra crescita, e la soddisfazione di un desiderio di creatività, al confronto critico con l’altro, un altro che ci aiuti a interrogarci sul piacere della bellezza, nostra e del mondo.
Ma la relazione maestro e allievo, non solo per la pratica artistica, è diventata obsoleta? È il problema della nostra educazione a stare nel mondo. L’arte può ancora, in questo senso, salvarci?
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4. L’arte: una progettualità di vita
Durante la cena il dibattitto si è fatto vivace.
Quale pertinenza mette in relazione arte e vita?
Una relazione che si sviluppa nella tensione tra bisogno di guadagnarsi da vivere e necessità di inventare la vita, tra accidentalità e progettualità del fluire della vita stessa, e ancora tra creatività come esigenza individuale di espressione e creatività come bisogno sociale di comunità, creatività come scienza del «vivere bene», della «buona vita».
C’è una potenzialità del «fare ad arte», dell’«avere cura» nel fare, che ci riguarda tutti? Perché è in quella tensione che sta la ragione della permanente inutilità dell’arte.
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