C’è una cosa che intriga la nostra viaggiatrice nel tempo: avere la libertà di cambiare il corso delle cose, di poter fare le cose in modo diverso. La viaggiatrice è carica di desiderio, ne ha una valigia piena. Ora può disporre di un dominio di sapere, di informazioni, di cui non era a conoscenza fin dall’inizio della sua storia. Ma presto scopre che, lungo la sola e unica linea temporale che gli è concessa, tutto o quasi sarà come prima, tutto la riconduce, come a forza, là da dove è arrivata. Se solo potesse riavvolgere il tempo e ripartire da capo.
Un esperimento mentale scoraggiante? Fallacia del desiderio?
Quel che ci resta – come nel film di Massimo Troisi – è piangere? A che condizione allora si produce la nostra libertà? Scoprire di essere l’inizio o, almeno, la condizione di partenza di un processo che si produce come conseguenza delle nostre azioni ci soddisfa? Ci basta sapere, come dice Giuliano, che noi siamo importanti, perché siamo noi a scrivere la nostra storia? Ma appunto che storia siamo?
È necessario sapere tutto fin dall’inizio? Come altrimenti produrre «una differenza», cioè quell’informazione che fa la differenza, secondo in conformità ail nostro desiderio? Forse non è necessario. Perché, anzi, non invertire i tempi, e farci subito carico dei nostri desideri nel qui e ora del nostro abitare il mondo.
È nella possibilità di farci carico del volere o meno le conseguenze del nostro fare che si produce la libertà e, al tempo stesso, la responsabilità del nostro fare nel mondo. E cioè l’una e l’altra – per usare le parole di Humberto Maturana:
«libertà e responsabilità intervengono nella riflessione che espone il nostro fare [inscritto] nell’ambito delle emozioni al nostro volerle o non volerle, in un processo nel quale non possiamo se non renderci conto che il mondo in cui viviamo dipende dai nostri desideri».
Edoardo, con le parole di Gino De Dominicis, ci ricorda che noi siamo «antichi», eredi di un fare creativo che, nel corso dell’educazione della nostra umanità, è già un arrivare «da dopo» nel nostro viaggiare nel tempo. E allora forse l’unico viaggio a ritroso che ci è concesso risiede nella nostra educazione, nell’educazione ad apprendere la cura per il nostro fare. La cosa è di qualche utilità solo a questa condizione. Ancora Humberto Maturana:
«Se l’educazione non spinge i giovani verso la responsabilità e la libertà di essere co-creatori del mondo in cui vivono, limitando la riflessione, l’educazione serve a poco o niente»
Allora, forse è lì, nella nostra capacità di riflessione, di uno sguardo responsabile su ciò che rende desiderabile il nostro abitare lo spazio e il tempo, la possibilità di costruire un mondo e farne un’opera d’arte.
(7, fine)