Far parlare le immagini del sogno
Che significato si trova nel sogno?
In quella bizzarria di immagini, che è il sogno, il suo significato sembra valere al di là della cosa che il sogno può “rappresentare”; il fatto stesso di rappresentare è in sé significativo. Quel che affascina del sogno non è solo il suo messaggio, ma che ci sia un messaggio, che l’attività onirica si offra a una comunicazione, a una possibile interpretazione.
È la provenienza di quel messaggio che ci affascina. Dalla oniromanzia egizia fino alla smorfia napoletana, dalla Spiegazione dei sogni di Artemidoro di Daldi a L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, quell’aggregato di immagini si presenta come una soglia, una superficie di contatto tra due dimensioni della vita mentale, di cui, comunque le si voglia intendere, una sola, a un estremo, è cosciente, e appartiene allo stato di veglia, l’altra, all’estremo opposto, rimane inconscia, fuori dal controllo della coscienza.Nelle immagini oniriche, accessibili alla coscienza, una parte rinvia a ciò che sta dall’altra parte, in un viaggio a doppia direzione.
Ma solo se del sogno si dispone di una chiave di lettura, di un sistema concettuale, è possibile “vedere” un messaggio; solo la sua codifica verbale ci permette di osservare quell’aggregato di immagini come un tutto strutturato, e, al tempo stesso, di ricondurlo al più vasto mondo della cultura o, almeno, di una sua parte, dove noi appunto abitiamo.
Insomma, il simbolismo del sogno è suscettibile di essere inteso, in base alle nostre premesse culturali, come un segno della fortuna, tanto addirittura da potercela giocare, o come un’irruzione degli dei o del destino nella nostra vita o, ancora, per attenerci al nostro essere moderni, come un insieme di operazioni della vita psichica stessa, che annuncia in modo significativo una qualche verità sulla nostra stessa esistenza.
Quale chiave di lettura scegliere allora?
Noi abbiamo deciso di interrogare direttamente i nostri sogni. Che, forse, più che da interpretare, sono da disegnare e da far parlare. Abbiamo chiesto allora di intervenire come “esperti” a Daniele Catalli, che è un disegnatore di sogni altrui, e a Gabriele Lodari, che come psicanalista lacaniano non interpreta i sogni.
Nota Tecnica: La videoregistrazione è fallita. È stato possibile solo recuperare la traccia audio. Per la traccia video si è supplito con il materiale fotografico prodotto durante la cena. La sua visione ha qualcosa di onirico.
A questo appuntamento oltre al cibo e alle bevande era necessario portare anche i propri sogni.
1. La vita è sogno
La cena è stata un esperimento sui sogni. Gabriele e Daniele, due affabulatori di sogni altrui, l’uno con la parola, l’altro con il disegno, hanno condotto l’esperimento. E guardate cosa è successo.
Il sogno ha cominciato a lavorare sulla materia della parola, l’emozione – e l’emozione si è fatta racconto, si è trasformata in immagine, in disegno.
Forse perché, come dice Gabriele, il sogno è già la vita stessa o la materia della vita è sogno ed è già il suo racconto, non siamo più riusciti a stabilire un confine, una delimitazione netta, tra la realtà della veglia e il sogno.
Tutti sogniamo, e così ognuno si è ritrovato anche a condividere il sogno di un altro. In un’atmosfera da sogno. Colpevole anche l’abbondanza di dolci.
(1, continua)
2. Da immagine a immagine
Durante la cena abbiamo rinunciato a qualsiasi interpretazione del sogno.
Ci siamo detti che, se fosse possibile formulare a parole fin dall’inizio il messaggio del sogno, dire cioè che cosa significa, non avremmo bisogno di sognarlo. Anzi, che è bene che il processo di creazione del sogno rimanga parzialmente inconscio, e che ci si possa finalmente affidare al sogno, come per gli antichi, al pari di un messaggio degli dei.
Perché non lasciare che il sogno parli da sé stesso, attraverso la sequenza delle sue immagini, senza imporgli un’interpretazione?
Così ci siamo attenuti alla proposta di Gabriele Lodari, psicanalista, e di Daniele Catalli, artista, di far valere la peculiarità del sogno: il suo essere una comunicazione per immagini, e lasciare le immagini parlare attraverso le immagini, e la loro emozione.
Il discorso del sogno si compone di istantanee che evocano una storia. È un discorso che è fuori delle regole del linguaggio verbale: è senza negazione, senza i tempi e modi verbali, semplicemente accade, vive nel presente, scompone la continuità dello spazio per ricomporsi nella contiguità delle scene che “illustra” e dei materiali con cui si costruisce. È l’atto stesso di mettere in relazione, è la relazione che l’immagine stessa istituisce.
E quindi ci siamo affidati alla sua illustrazione o, meglio, all’arte di “schizzare” la storia, per ritrovare l’arte del sogno, il suo disegno.
Disegni di Daniele Catalli.
(2, continua)
3. L’errore è una pecora che brucia
Dire che cos’è un sogno, dice Gabriele Lodari, è una pretesa assurda. Al più, è ciò per cui funziona: il suo essere non nel contesto della ragione («il che cos’è»), ma nel contesto di una storia. Il sogno esiste nei suoi frammenti, una rapsodia di immagini aperta alla narrazione.
In ogni sogno c’è un punto, che Sigmund Freud chiama l’«ombelico del sogno», cui si arriva e non si può dire di più. Rimane enigmatico, senza un significato ultimo. Non c’è quindi nessun motivo di supporre che l’insieme di termini con cui si sostituiscono le immagini del sogno, come quelli di natura sessuale, per stare all’interpretazione freudiana, sia più originario o più vero di quelli di qualunque altro insieme. Qualunque altra sostituzione non fa che creare un altro sogno.
È quello che abbiamo fatto a cena, affidando i nostri sogni all’interpretazione visiva di Daniele Catalli. Daniele si è forse sbagliato a leggere i nostri sogni? Forse.
Ma se per ipotesi, e l’ipotesi è di Gianfranco Roselli, si sognasse per errore? Se il sognare stesso, la possibilità di sognare, non fosse altro che la possibilità stessa dell’errore, propria della nostra vita cosciente?
Non è forse l’errore la condizione dell’apprendere? Errore che rivela l’esistenza di una normalità del reale, ma anche la possibilità di una realtà diversa, da vivere diversamente, in un modo più aderente alla vita. Perché la vita non è riducibile al modellamento che ne subisce attraverso la cultura e l’educazione. Errore che svela, come un tocco divino, la traccia di un progetto di vita più creativo, di inattesa bellezza.
Come è successo una volta a Daniele Catalli.
La trascrizione di un sogno altrui, offerto allo schizzo della sua penna, conteneva l’immagine di una «pecora che brucia», un’immagine che si apriva a un’invenzione di qualcosa di numinoso, oltre l’ordinario.
Solo in seguito a Daniele è venuto il dubbio che forse c’era scritto «una pecora che bruca».
Ma quell’immagine è forse meno vera?
Dall’attualità del sogno al mondo che non è ancora
L’immagine di un dettaglio del sogno prefigura una storia. Ma il suo farsi nel tempo, il suo movimento, ci restituisce il passato o annuncia il futuro di un individuo?
Forse, il sogno contiene entrambe le direzioni. A guardare le immagini dei nostri sogni, tutto è presente, e quel che va in scena, nella sua attualità, sembra avere la forma di uno spazio vissuto, di un paesaggio entro cui trovare l’orientamento, il nostro posto nel mondo, il tempo del nostro divenire. Nel sogno, il percorso non è già preordinato, ma, come avviene all’interno degli spazi affettivi del nostro vivere, dove si danno svolte improvvise o incontri inattesi, è piuttosto un tentare, un osare, un esporsi, un essere in ricerca.
Nel suo procedere, forse, il sogno ci invita a guardare non ai termini specifici che mette in relazione, ma alla relazione di cui è esso stesso il disegno. E, come dice Michel Foucault:
Il soggetto del sogno, o la prima persona onirica, è il sogno stesso, è il sogno nel suo insieme. […] Sognare non è un altro modo di fare esperienza di un altro mondo, ma per il soggetto costituisce l’esperienza più radicale del suo mondo; e se essa è così radicale è perché l’esistenza, come lì si annuncia, non è ancora mondo.
(da Il sogno di Michel Foucault)
E se il sogno non fosse altro che la «messa in relazione» con gli altri, con il mondo, metafora del bisogno di «prendersi cura» di noi stessi nel mondo? Al fondo di ogni immagine, non troviamo forse ogni volta l’emozione che la anima? «Emozione senza la quale – come dice Gabriele Lodari – non c’è racconto. È il desiderio stesso che continua a lavorare in noi, qualcosa di enigmatico, che esiste inconscio, che ritorna per trovare la via del racconto. Perché il non detto, l’indicibile, ancora è da dire».
Essere nel sogno non è qualcosa di passivo, ma di attivo. È la costruzione attiva e creativa della nostra vita, la scoperta e l’articolazione di una vita per noi più vera. È fare del sogno un’arte del vivere.
(3, fine)