La crisi pandemica ha messo in stallo la pratica della convivialità, almeno per le cene di C O N D I R S I.
Non c’era alcuna possibilità di costituirci ad «allegra brigata» intorno alla tavola, e poterci ragunare a ragionare insieme (Boccaccio) al riparo dal contagio; l’alternativa – quella di praticare la dimensione virtuale dell’incontro, in una qualche versione digitale – è stata fino ad ora esclusa.
Ora è di nuovo possibile incontrarci a tavola e, pur nell’osservanza del protocollo normativo per le visite tra persone non conviventi, un più aperto accesso alla tavola non potrà che affidarsi alla dimensione virtuale della partecipazione online.
Non sarà la stessa cosa di prima. E tuttavia la necessità di mantenere il senso della convivialità richiederà che almeno sia visibile per tutti e tutte, attraverso il gioco degli schermi, l’icona della tavola (e non tanto quella di una libreria alle spalle).
La conversazione a tavola – qualunque sia il tema della cena – non potrà semplicemente ripartire da prima di questo tempo di vita sospeso dall’emergenza sanitaria. La crisi pandemica ci interroga, e abbiamo bisogno di formulare domande in grado di esplorare il possibile, un futuro possibile, che l’incertezza dello stato delle cose contiene come condizione di cambiamento.
Anzi, è proprio il vivere uno stato di crisi, una situazione di incertezza, a obbligarci a porre una prima domanda, sulla quale chiedere ai nostri ospiti “esperti” di portare l’attenzione: come è possibile ancora pensare la convivenza umana, e la solidarietà sociale che la convivialità esprime, se il contatto stesso – la natura sensuale, corporea delle nostre pratiche di relazionalità – è diventato un rischio, la condizione pericolosa del nostro stare al mondo?
Bisognerà interrogare questa nostra “ignoranza”. Perché non solo non sappiamo quale sarà l’evoluzione della crisi sanitaria, e quindi quale processo di cambiamento la conseguente crisi economica, sociale e culturale innescherà nella società; ma neppure sappiamo quali sono le conseguenze della nostra stessa ignoranza della situazione sull’evoluzione della vita in comune.
Tutto ciò entrerà a far parte della metamorfosi in atto della nostra esperienza del mondo. Anzi, questa “cecità”, che non può più essere ignorata, forse produrrà un cambiamento nel modo stesso di apprendere dall’esperienza, di apprendere il cambiamento che interessa la difficile arte della convivenza.
Insomma, c’è qualche buona ragione, e una ragione sensibile, per affrontare insieme la fatica di pensare il tempo futuro. Per aprire così qualche spiraglio, a cominciare dal «mettere in tavola» una domanda e, in una modalità conviviale, avviare una conversazione come modo di imparare a pensare insieme.
E a pensare in grande.