Che comprensione ci è data di “di ciò che accade” oggi? Quale voce si leva nello spazio pubblico che non sia solo un’apologia dell’attualità o il suo rovescio? Alla sensibilità offesa, quella di molte vite deluse, relegate a una soggettività solo individuale, la cui rabbia è spesso sintomo di una perdita di senso, di una mancata comprensione del presente, che risposta dare?
Non è un caso se, nel corso della cena, la parola “libertà” è rimasta fuori dalla tavola. C’è bisogno di un percorso collettivo di ricerca, e non tanto di libertà, quanto invece di una via di uscita. Di una via di uscita in grado di sottrarci alla frantumazione solitaria, individualistica delle nostre vite. Si tratta di tornare a parlare di «legame sociale», di come gli individui “si sentono”, di quella dimensione emotiva che è costitutivamente politica, perché interessa il modo in cui viviamo una comune condizione di esistenza.
C’è bisogno di una politica delle emozioni progressista, capace di fare rete. E la cosa è di una certa urgenza. C’è una catastrofe climatica annunciata nel nostro orizzonte temporale. Ma forse là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva.
(6, fine)