Nell’Occidente, la visione consensuale, se mai è stata tale, del mondo non regge più. Il compiersi di una visione desiderabile della convivenza umana nella partecipazione della moltitudine stessa degli esseri umani – la messa in contatto di una molteplicità di mondi, che la Rete rende possibile – rimane un’utopia.
È un compito dell’educazione farsi terreno di contatto tra visioni plurali del mondo? Forse. Ma quale educazione? Quella che sa guardare alla pluralità che abita ogni individuo, aperta a territori della vita mentale, non riducibili alla presa cognitiva soltanto linguistico-verbale (scolastica) dell’esperienza di apprendere.
Ma dove sta, al presente, un luogo comune di incontro – è la domanda di Giuseppe I. Morello? Dove si dà un modo di vivere, che permetta la pratica di una koinè, di una lingua comune? Una comprensione reciproca richiede di riconoscersi in uno spazio condiviso, richiede una storia, in cui la produzione dell’umano consista nel fare della base emozionale (del desiderio) della relazione con l’altro, e con il vivente tutto, un punto comune di riferimento – un confine di senso, la pertinenza dello “stare insieme”, della nostra stessa convivenza.
Non sarà, invece, che quella storia è più facile da perseguire nella comune adozione di una diffusa idiozia?
(5, fine)
Video appartenente alla cena:
Cena Nº70
La sindrome di Hyde Park Corner. Come trasformare i soliloqui in dialoghi
con Giuseppe I. Morello