Lo stile di vita occidentale è insostenibile: per un futuro più equo dovremo ridimensionarlo, rinunciare a viaggi, condizionatori, merci, disfandoci del consumismo a cui ci siamo assuefatti fin dal boom economico del dopoguerra.
Ma dove fissare il limite della crescita, e a chi lasciare il compito di farlo? Come interpretare, ad esempio, la richiesta e il costo crescente di un’alimentazione sana e ecologica e del riscaldamento d’inverno? E se fosse proprio la percezione di privilegio a impedirci di lottare per fare sì che questi smettano di essere per troppe persone dei lussi, anche nel “viziato” primo mondo?
Sull’orma di Mark Fisher discuteremo, insieme a Elisa Cuter*, dei concetti di “comunismo di lusso” e di “desiderio postcapitalista”. Se il capitalismo è stato un sistema che si è basato sulla sussunzione del desiderio e addirittura sulla generazione costante di mancanze percepite e desideri coatti (l’“ingiunzione a godere” di cui parla Lacan), perché sempre Lacan insegnava che l’unica etica è quella di “non cedere sul proprio desiderio”?
Il desiderio può essere la chiave di volta dialettica per superare lo stato di cose presenti, opponendosi alle “passioni tristi” del neoliberismo, come competizione, senso di colpa, merito, performatività… E se sì, quale desiderio? La riflessione sul nostro rapporto con i consumi si sposta allora sulle strutture e le traiettorie psichiche che sostengono o inceppano (e possibilmente trasformano) lo status quo.
* Elisa Cuter, editor del Tascabile, è dottoranda e assistente di ricerca alla Filmuniversität Konrad Wolf di Babelsberg. Negli anni si è occupata di cinema e questioni di genere su Filmidee, Doppiozero, Blow Up, Not e Domani e collaborato con il Lovers Film Festival di Torino e la Berlin Feminist Film Week. Ha pubblicato nel 2020 il saggio Ripartire dal desiderio per minimum fax.
Copertina: San Pietroburgo, Salotto della malachite nel palazzo di inverno, l’eremo
1. «Comunismo di lusso»: come immaginare una società desiderabile?
Chi è che beneficia davvero della logica di sovrapproduzione del sistema capitalista? A fronte di quei pochi che godono di una gigantesca accumulazione di ricchezza (monetaria), nel sistema globale capitalista una gran parte della popolazione mondiale vive, quando non in uno stato di privazione (al di sotto della soglia di povertà), in un regime permanente di mera sussistenza. E sempre di più.
Un “regime di scarsità”, che, là dove la ricchezza delle società si presenta come una “immane raccolta di merci” (Karl Marx), è un’evidente assurdità. Ma è la realtà di un «acefalo» sistema economico-sociale spietato, non più in grado di mantenere la promessa – che si rivela sempre più illusoria – di un generale crescente benessere.
È possibile immaginare una società alternativa? Una società desiderabile, dove sia possibile esplorare e liberare in modo “multilaterale” capacità e stili di vita personali?
Elisa Cuter provoca la nostra immaginazione. Si tratta, con Mark Fisher, di associare due parole, il concetto di “comunismo” con quello di “lusso”: il «comunismo di lusso» per liberare una gestione della società non competitiva, dove non sia fondamentale, come modalità di organizzazione sociale, che l’accesso alla ricchezza materiale, e al suo godimento, da parte di pochi dipenda dal negarne la disponibilità ai molti.
Ma come fare del “libero accesso” alla produzione e riproduzione della vita sociale un progetto comune di convivenza?
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2. «Comunismo di lusso»: emancipazione o liberazione dal tempo di lavoro (salariato)?
Una politica identitaria – un approccio politico di alcuni movimenti libertari, il cui obiettivo è affermare il carattere distintivo e di appartenenza a un gruppo di soggetti in condizioni di discriminazione o oppressione, e ottenere così potere e riconoscimento – è davvero sufficiente come progetto di emancipazione?
La rivendicazione dei diritti personali – di uguaglianza, di libertà e anche di proprietà (almeno di sé stessi) – si basa su un contesto di senso – l’universalità del concetto di persona*, dell’uomo in generale – che ignora la storicità di queste categorie e i processi storici di trasformazione delle condizioni economico-sociali.
Elisa Curer si chiede, con Karl Marx, se l’emancipazione basata sulla rivendicazione dei diritti della persona come dato naturale a livello universale sia sufficiente senza la liberazione del tempo di lavoro dominato da una dinamica storica – il modo di produzione capitalistico – il cui risultato è proprio quella stessa forma di soggettività.
Rivendicare un «comunismo di lusso» per la società intera significa denunciare che il tempo di lavoro come “unica misura e fonte della ricchezza” – un criterio di compatibilità con la sua valorizzazione capitalista – è diventato una “base miserabile” rispetto a una “nuova base che si è sviluppata nel frattempo”, la possibilità materiale di un libero sviluppo dell’individualità.
Non si tratta di ripartire dal bisogno, ma dal desiderio (senza sensi di colpa), perché la base della rivoluzione è già presente nella società, e sta nel risultato stesso, in continuo sviluppo, del sistema del capitale: “la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde [già] la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro.” (Karl Marx) Si tratta di spezzare in pratica quel nesso concettuale fondamentale, proposto da Karl Marx, che è il rapporto tra capitale e lavoro salariato: spezzare cioè la funzionalità del lavoro salariato all’esclusivo processo di valorizzazione che il modo di produzione capitalistico prescrive alle dinamiche dell’attività lavorativa, e all’esistenza tutta.
Ma questo è un problema per cui non sono gli individui, sono le classi i soggetti storici del processo di soluzione. La lotta per un Reddito Universale di Base ne è oggi una figura storica?
* La persona è la forma di soggettività imposta dal processo generalizzato dello scambio, il cui presupposto è l’indipendenza di ogni singolo partecipante al momento del suo ingresso nel processo di circolazione delle merci: libertà, uguaglianza sono le precondizioni del “libero” mercato. È un’ideologia individualistica che è il fondamento concettuale del modo di produzione capitalistico e della borghesia stessa.
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3. Il desiderio sessuale e l’economia libidinale del capitale
Forse si tratta di indagare alla radice il senso di ciò che chiamiamo desiderio, godimento e piacere, a partire dalla pulsione sessuale. Nel territorio del desiderio si fa esperienza dell’umano, è il territorio dove l’essere umano dà senso alla sua vita: nell’esperienza di “ciò che manca” la vita umana progetta i propri compiti, il suo legame con l’altro, con la società e la natura, si apre alla ricerca del godimento, alla possibilità di tutti i godimenti, da quello più sensuale a quello più spirituale.
Un progetto di emancipazione dell’umano – l’inizio di un regno della libertà – da che parte si colloca: sul versante del godimento o su quello del desiderio? La nostra è già una vita assoggettata a una macchina produttiva che fa del desiderio il suo infinito motore con la sua generazione costante di un’“economia libidinale”. Infatti, l’attuale “ingiunzione a godere” fa crescere una nuova forma di insoddisfazione costitutiva, che non è più la soggezione del godimento alla colpa secondo un’istanza autoritaria – “non godere!” – ma la sua sussunzione a una logica sempre crescente del desiderio, per cui la colpa sta nel “non godere abbastanza”. Che altro è infatti lo smarrimento che ci assale dentro un supermarket di fronte all’infinita offerta di godimento, di piacere a consumare?
La preferenza, per Elisa Cuter, va data al desiderio. Ma quale affermazione del desiderio ha a che fare con la sua stessa liberazione, con una sua possibilità rivoluzionaria contro l’asservimento a un desiderio continuamente messo al lavoro dalla formazione sociale capitalistica, soprattutto nella sua versione neoliberale? Da cosa deve partire un uso politico, di resistenza, del desiderio? Di certo, sarebbe preferibile avere una comprensione di qual è il godimento, il piacere che nel senso essenziale del legame sociale, della convivenza umana ci manca.
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4. Liberare il desiderio nel medium delle piattaforme social?
È indubbio che la diffusione delle tecnologie digitali delle piattaforme social, da FaceBook a Tinder, rispondano a una domanda basata sul bisogno, sulla passione, sul desiderio di socialità, e anche di intimità, e che la mediazione tecnologica di questa domanda genera a sua volta un nuovo spazio di fruizione della socialità.
È una nuova modalità di relazione dell’individuo con sé stesso? Una modalità in base a cui la natura espressiva e creativa dell’esistenza di tutti, divenuta accessibile a una generale godimento, è al tempo stesso il prodotto sociale della partecipazione di tutti? È davvero finalmente la generazione di quella ricchezza reale che consiste nel riconoscimento dell’universalità dei bisogni e dei desideri, nell’estrinsecazione delle capacità creative degli individui?
Ma la produzione di questa generale relazionalità degli individui non è a sua volta influenzata dalla natura, dal tipo di mediazione esercitata, spesso solo in funzione di investimento capitalistico, dalle piattaforme social? Che appunto procede per così dire alle loro spalle, come mezzo per mettere a valore la loro esistenza?
Forse non è un caso che il modello di emancipazione da social – la monetizzazione delle vite nell’appagamento narcisistico della propria immagine sociale – continui a consistere in una “brama di arricchimento”, a generare l’impulso collettivo a “giocare” ad appropriarsi del denaro, il “rappresentante universale” della ricchezza materiale. Che proprio per questo è in grado di esercitare un potere “senza misura” sulla vita di tutti.
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5. Che fare per una «rivoluzione di lusso»?
Di fronte a un modello valoriale in base al quale la realizzazione umana è delegata all’acquisizione crescente di beni materiali, di merci dal valore più simbolico che reale, in una fase storica in cui questa stessa promessa è sempre più disattesa dal sistema capitalista che la promuova, come si esce da questa contraddizione di sistema?
La promessa di appagamento, attraverso cui il modello di crescita capitalista è riuscito finora a legittimarsi, non regge più, anzi, si rovescia sempre di più in frustrazione.
Quale potere di attrazione – e quale piacere – può esercitare la prospettiva di una società comunista? Uscire da una logica della rinuncia è, per Elisa Cuter, la premessa per praticare una «rivoluzione di lusso». Una premessa, questa, che può soprattutto valere per i giovani, per i quali la costruzione della propria vita non sia messa a carico della sola responsabilità individuale, ma sia aperta al “fare in comune” di una società davvero inclusiva.
(5, fine)
6. Desiderio postcapitalista – Momento conviviale 1
Elisa Cuter: – L’idea della persuasione che vince sulla percezione, cioè che io debba propagandare e suggerire un modello alternativo e renderlo attraente non mi sembra di stare facendo self branding su Instagram.
Cecilia Marocco: – No no, infatti bisogna creare un immaginario, bisogna crearne uno alternativo.
E.C.: – Esatto tuta la critica che c’è stata… Qualcuno voleva intervenire…
C.M.: – Che cos’è il lusso? Secondo me, il lusso è il fatto che ci troviamo a parlare. Qui come in un Centro Sociale, il lusso è quello, secondo me. Il problema è che le persone non hanno una prospettiva, e torniamo un po’ alla questione dell’immaginario.
7. Desiderio postcapitalista – Momento conviviale 2
Elisa Cuter: – Che serva in qualche modo un lusso, cioè una possibilità economica di disporre come vuoi della tua vita, soprattutto la sensazione che stili di vita diversi in cui ti sei indentificata per un sacco di tempo come classe operaia, che queste cose non minaccino in nessun modo la tua sussistenza, il tuo modello di vita, ce l’hai quando? Quando tutti abbiamo le stesse possibilità economiche. Di nuovo! Marketing, marketing del comunismo! È questo che vi sto invitando a fare!