Una domanda è stata messa sulla tavola. Anzi, la domanda, quella sul potere nella società, e sulla sua perversione in dominio: Cosa succede in testa a chi ha il potere? In altri termini, è il problema di come impedire che l’esercizio del potere si trasformi in dominio, in coercizione arbitraria.
Certo, parlare di potere significa parlare di una “figura” politica, non nella sua individualità, ma di una funzione rappresentativa, la cui “immagine” è costruita all’interno di una collettività o, meglio, oggi di un sistema di gestione della comunicazione di massa con tutto il suo potere di “falsificazione” digitale dell’informazione.
Di cosa c’è quindi bisogno per contenere il potere della manipolazione comunicativa, dell’analisi dei big data, nella formazione del consenso politico? Qual è l’impatto della ricerca storica nel consentire l’elaborazione di una memoria collettiva consensuale – consensuale perché in grado di confutare la pretesa “identitaria” di una tradizione politica, la cui legittimità non stia solo nell’essere storicamente vincente?
Inevitabile, quindi, per Carlo Greppi, a fine cena porre la domanda: fino a che punto si può essere democratici? O, nei termini del paradosso della tolleranza (Karl Popper, 1945), fino a che punto siamo disposti a perseguire la libertà di una società tollerante, aperta, senza consentire l’avvento di un dominio degli intolleranti?
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