Abbiamo davvero «bisogno di una pedagogia della catastrofe… per educarci un po’», per una “cura del mondo”?
Nella storia dell’umanità, per Dario Padovan, la paura si rivela una risorsa mobilitante. Il problema è che oggi il «detentore della dinamica dell’ontologia della paura», nella sua dimensione originaria, è la Destra politica, che persegue politiche immunitarie con l’invenzione di un presunto “nemico” dell’identità locali, nazionali.
È possibile invece creare «comunità della paura» in grado di «lavorare sulla paura» in relazioni a temi che riguardano la comune convivenza umana, come il cambiamento climatico, la crisi ecologica, la perdita della biodiversità e degli orizzonti naturali della vita? È infatti sulla paura che si realizza oggi la capacità di mobilitazione degli attuali movimenti, in gran parte giovanili, come Extinction Rebellion, Fridays for Future, Ultima generazione, che reclamano un futuro per l’umanità tutta.
È una generazione di giovani, che sono corpi in movimento e pensanti, chiamati in causa da un nuovo attore, una nuova soggettività: la Terra, dotata di una capacità di risposta e di azione, di un’intenzionalità che richiede una nuova comprensione della materialità vivente della natura.
Non sembra però esserci gioia nel futuro della transizione ecologica. Anzi, c’è la prospettiva realistica che il modello di riferimento che definirà la nostra condizione di sopravvivenza sia un modello di violenta conflittualità – come la guerra in Ucraina. Un’affermazione, questa, che può bastare per terrorizzarci.
C’è allora bisogno di un orizzonte teleologico, un orizzonte di possibilità – un principio speranza (Ernst Bloch) – in vista del quale lavorare per costruire insieme comunità ecologiche che si auto-organizzano in una direzione di libertà e di eguaglianza, e di gioia.
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