Forse si tratta di indagare alla radice il senso di ciò che chiamiamo desiderio, godimento e piacere, a partire dalla pulsione sessuale. Nel territorio del desiderio si fa esperienza dell’umano, è il territorio dove l’essere umano dà senso alla sua vita: nell’esperienza di “ciò che manca” la vita umana progetta i propri compiti, il suo legame con l’altro, con la società e la natura, si apre alla ricerca del godimento, alla possibilità di tutti i godimenti, da quello più sensuale a quello più spirituale.
Un progetto di emancipazione dell’umano – l’inizio di un regno della libertà – da che parte si colloca: sul versante del godimento o su quello del desiderio? La nostra è già una vita assoggettata a una macchina produttiva che fa del desiderio il suo infinito motore con la sua generazione costante di un’“economia libidinale”. Infatti, l’attuale “ingiunzione a godere” fa crescere una nuova forma di insoddisfazione costitutiva, che non è più la soggezione del godimento alla colpa secondo un’istanza autoritaria – “non godere!” – ma la sua sussunzione a una logica sempre crescente del desiderio, per cui la colpa sta nel “non godere abbastanza”. Che altro è infatti lo smarrimento che ci assale dentro un supermarket di fronte all’infinita offerta di godimento, di piacere a consumare?
La preferenza, per Elisa Cuter, va data al desiderio. Ma quale affermazione del desiderio ha a che fare con la sua stessa liberazione, con una sua possibilità rivoluzionaria contro l’asservimento a un desiderio continuamente messo al lavoro dalla formazione sociale capitalistica, soprattutto nella sua versione neoliberale? Da cosa deve partire un uso politico, di resistenza, del desiderio? Di certo, sarebbe preferibile avere una comprensione di qual è il godimento, il piacere che nel senso essenziale del legame sociale, della convivenza umana ci manca.
(3, continua)