A tavola per provare a imbastire una conversazione conviviale sulla grande questione del cambiamento radicale della cooperazione sociale, del nostro fare in comune a livello di specie. Una cooperazione sociale dagli effetti contraddittori e nefasti e che è egemonizzata dal capitale, dal suo conatus di autopreservazione, messo in atto attraverso tutti gli apparati gerarchici, sistemici e cibernetici che ha a disposizione.
Un’egemonia che dalla concorrenza alla guerra, ci mette in cooperazione in forme rivali, e, dal patriarcato alle classi di reddito e di comando, ci colloca in gerarchie di potere; mentre, rispetto alla natura non umana e a Gaia, la cooperazione sociale è nel suo complesso bio- ed ecocida.
Questa egemonia lascerà sicuramente le sue tracce nelle condizioni materiali di questa cena. Nel prepararla però, e nello svolgersi del dialogo conviviale su un tema importante, è possibile immaginare che si svolgerà un’altra forma di fare in comune, che misura le cose complessivamente in maniera diversa da quella del capitale. In questa bolla, in questa sfera del fare, si sarà creato un “procomune”, un sistema di relazioni sociali dirette, dove anche solo per una sera, si mettono risorse in comune, si entra in processi comunicativi che orientano la misura comune delle cose del fare, e si fa, nelle sue molteplici dimensioni. Convivialità e valori d’uso, vernacolarità e chiacchierata su problemi stratosferici. Un procomune in una moltitudine di procomuni, di sfere piccole e grandi della cooperazione sociale che spesso costituiscono un fuori dalla misura delle cose del capitale.
Dunque, a partire dal punto di osservazione del procomune, là dove proviamo a riprodurre le nostre vite attraverso relazioni sociali di mutuo riconoscimento con umani e non-umani, proveremo insieme nel nostro piccolo a riflettere con Massimo De Angelis* sugli orizzonti che possano orientare una pratica sociale che ponga fine all’egemonia del capitale, a sovvertire la piramide del suo dominio, a riorganizzare la cooperazione sociale su nuove basi.
* Massimo De Angelis è professore emerito di Economia politica e sviluppo presso la University of East London. È fondatore della rivista web “The Commoner” ed è autore di un testo al centro della discussione mondiale sui commons: Omnia Sunt Communia: On the Commons and the Transformation to Postcapitalism. Per qualche riferimento al tema del fare in comune qui.
1. I procomuni, la «misura delle cose» della cooperazione sociale
La convivialità a tavola è l’immagine del fondamento della «cooperazione sociale», sottratta per un tempo e uno spazio limitato alla dinamica della razionalità capitalista, il cui scopo complessivo non è più la riproduzione sociale come ricchezza reale, ma l’accumulazione della ricchezza sociale nella sua forma astratta, nella forma universale del denaro, è la generazione di denaro fine a sé stessa. È l’immagine di un’alternativa alla produzione in forma capitalistica della cooperazione sociale.
A partire da qui la domanda ‘ingenua’: come è possibile cambiare il mondo? Per Massimo De Angelis, significa stabilire nuove forme di cooperazione sociale, in cui «la misura delle cose» della riproduzione sociale consiste nella «produzione degli essere umani per mezzo degli esseri umani» (Karl Marx)
Ma fare dell’essere umano sia il mezzo sia il fine della reale ricchezza significa promuovere la ricerca di una ‘congruenza’ nella costruzione della socialità, della convivenza (attraverso la comunicazione ‘politica’) la cui ‘misura’ sia il risultato di una deliberazione (decisione) condivisa, diffusa e plurale, sulle condizioni sociali della vita comune. Una pratica di democrazia profonda che nell’interrogarsi su «il cosa, il come, il quando, il quanto, il chi e il perché» della produzione sociale – in breve «la misura delle cose» – metta capo a una radicale riorganizzazione della cooperazione sociale.
I «procomuni» sono sistemi sociali, su scala diversa, il cui fondamento, in ‘lotta’ contro la dinamica capitalistica, è la cooperazione sociale stessa come ‘misura’ della costruzione della vita sociale.
(1, continua)
2. Riproduzione sociale versus riproduzione del capitale
Come cambiare il mondo? Un progetto, che può essere poi meno che “radicale”?
Andare alla radice delle cose, per Massimo De Angelis, significa con Karl Marx fare del pieno sviluppo dell’essere umano il fondamento della riproduzione della vita sociale. Un progetto, quindi, in aperta antitesi alla sua forma capitalistica, la cui finalità è l’incremento, ad ogni ciclo della sua riproduzione, del denaro inizialmente impiegato. Finalità cui è sacrificabile il destino di ogni singola esistenza umana e non umana.
A partire da questa realtà antitetica della riproduzione sociale, occorre articolare un progetto politico di sottrazione dell’esistenza, della vita tutta, dal suo essere funzionale al sistema di valorizzazione del capitale. Un progetto di crescente indipendenza, quando non di rifiuto, alla cui radice sta l’invenzione di una nuova capacità di cooperazione sociale e di creazione di spazi per un’alternativa.
(2, continua)
3. La costituzione del comune, tra strategie di lotta e gerarchie di potere
Non è, la nostra, una società basata sulla sussistenza. È la società delle merci (vedi sopra: 2. Riproduzione sociale versus riproduzione del capitale), dove il processo della produzione sociale non è orientato a garantire l’immediata soddisfazione dei bisogni, l’esistenza per tutti – la sussistenza e in generale la riproduzione sociale; al contrario, l’esistenza di tutti deve entrare in una mediazione generale di compra e vendita, dove è la realizzazione in denaro a configurare il processo della vita sociale, la forma della ricchezza sociale. È questa cosa sociale “la reale sostanza comune, la sostanza universale” (Karl Marx) ciò da cui viene a dipendere l’esistenza per tutti. E non è affatto garantita.
L’esistenza di relazioni dirette, entro cui è possibile intervenire «sulla definizione delle condizioni della nostra vita», è oggi relegata a una dimensione di marginalità della vita sociale. È una marginalità, rispetto al sistema dominante di dipendenza sociale della nostra vita, che consegna quella modalità di vivere (del “vernacolare”, e non dell’economico, per Ivan Illich) a una nostalgia romantica?
Per Massimo De Angelis, è invece possibile «trovare il modo di espandere la nostra capacità decisionale collettiva di definire la cooperazione sociale», un modo basato sul tentativo di rendere il «fare comune», il fare collettivo un processo poroso, aperto a un sociale che è plurale, della moltitudine. Un’evoluzione del «procomune» che richiede una visione strategica di lotta su due fronti, un Giano bifronte, con un occhio rivolto all’interno, verso la persistenza di asimmetrie di potere (ad esempio, di genere), e un occhio rivolto all’esterno, verso le grandi gerarchie di potere del nostro mondo.
In tempi di impotenza, di incapacità di costruire un altro mondo, occorre non lasciarsi afferrare dal senso di paralisi di fronte alla “contemplazione dei contrari” (Paolo Virno), alla «danza macabra» del sistema-mondo capitalistico per il quale «la ricchezza sta nel mezzo della povertà, la costruzione della crescita produttiva nel mezzo della distruzione ecologica».
(3, continua)
4. Il senso del comune, uscire dal dilemma continuità/rottura del sistema
È possibile affermare una progettualità alternativa della riproduzione sociale dentro l’imperativo capitalista della crescita economica, e dell’efficienza competitiva della produzione? In quale contesto sociale è possibile l’«emergenza» nei percorsi di «soggettivazione» degli individui, che ne permettono la formazione, di quelle pratiche sociali di lotta – come nel lungo ’68 italiano – orientate alla produzione stessa di un ‘comune’, di un senso del comune?
Nell’imprevedibilità della cosa, siamo alle prese con un dilemma. Quello di «vite invischiate» nel modo di produzione capitalistico, la cui sussistenza dipende, da una parte, dalla continuità della crescita del sistema, della sua incessante accumulazione di capitale – altrimenti è recessione economica, impoverimento delle condizioni materiali della moltitudine; dall’altra, dalla necessità di una sua drastica limitazione – altrimenti è l’incremento della diseguaglianza sociale e della distruzione ambientale, è la rottura catastrofica della relazione tra natura umana e natura non umana.
Come affrontare questo dilemma, per uscirne? Non basta il rifiuto. L’unica maniera, per Massimo De Angelis, consiste nel processo di “riappropriazione” delle risorse del sistema, delle condizioni attraverso le quali si riproducono le nostre vite, per costruire una progettualità ‘svincolata’ dalle forme oppressive della vita sociale.
(4, continua)
5. «L’indigeno in noi», creare contesti di democrazia profonda
La costruzione di una cooperazione sociale, alternativa alla modalità capitalista di appropriarsene, può emergere solo all’interno di contesti sociali in cui sia possibile decidere delle forme della vita collettiva, in contesti permeati da una cultura di democrazia profonda, radicale, in grado cioè di rifondare a tutti i livelli, e su ordini di scala diversi – anche a livello dell’istituzione statale – i processi di riproduzione sociale.
Una «rivoluzione politica» immensa che, attraverso la negoziazione di vincoli, l’apertura di spazi, la conquista di diritti (vedere l’esperienza di “Campi aperti” di Bologna), sia in grado di sottrarre la cooperazione sociale alla logica di “mercato”, di valorizzazione del capitale. E, prima o poi, non priva di conflitto, della violenza dello scontro.
Ma senza una rivoluzione sociale, il cui modello generale, per Massimo De Angelis, è dato dalla lotta indigena dell’America latina, dalla lotta di quell’«indigeno in noi» (Mariarosa Dalla Costa e Selma James) che consiste nella capacità di creare il mondo, il contesto in cui viviamo in maniera comune; senza questa dimensione del sociale, di questa «messa insieme» delle forme della condivisione, non è possibile comprendere «cosa vuol dire comune» – una scoperta che può darsi solo dal momento in cui emergono «i processi del fare in comune».
(5, continua)
6. «Il comune» come condizione (subordinata al capitale) della cooperazione sociale
«Il comune come condizione», per Massimo De Angelis, è la condizione di soggetti la cui attività produttiva, quanto più è alienata, separata, parcellizzata e gerarchizzata, tanto più è l’espressione di una combinazione, di una cooperazione sociale complessiva; ma di una socialità che è vincolata a una “misura delle cose”, a un processo di messa a valore della cooperazione sociale soltanto funzionale al sistema che la domina, quello della crescente accumulazione capitalistica (monetaria) della ricchezza sociale. E ciò a dispetto della ricca produttività sociale potenzialmente disponibile.
Ma da questa situazione antitetica come può emergere un progetto politico in grado di ricondurre la condizione del comune – questo “essere parte di qualcosa” – a un processo di emancipazione, a un progetto di società alternativa, desiderabile e necessaria, capace di mobilitare reali soggetti della trasformazione?
Massimo de Angelis ci invita ad andare oltre l’ideologia del “sacrificio”, oltre la misura individuale della rinuncia in nome di uno stile di vita più congruente con la questione ecologica del cambiamento climatico. E a porci la domanda: «Cosa si guadagna attraverso forme di condivisione? Quali sono le cose che devono uscire dalle nostre vite e quali devono rientrare?»
La “mancanza di tempo”, di un tempo sottratto alla realizzazione di sé, allo sviluppo della creatività individuale e collettiva, è oggi il vero terreno di scontro, lo spazio politico del conflitto tra autonomia della cooperazione sociale e sua subordinazione al comando capitalistico. Per liberare tempo occorre guardare senza pregiudizi ideologici a quel controllo, a quella “misura” del furto del tempo di vita, che continua a esercitarsi sull’immane disponibilità di tempo di una gran parte della società – di vite, messe al lavoro o rese inutili, di generazioni di uomini e donne a partire almeno dalla seconda metà del secolo scorso – a favore di una sua piccola parte.
(6, fine)
7. Appendice – Da Cochabamba a Torino: due esperienze di «procomune»
Un esempio di «procomune», anzi due. Da Cochabamba a Torino.
Il procomune è, per Massimo De Angelis, una dimensione pervasiva, diffusa di solidarietà sociale e di convivenza civile. Una forma di condivisione di energie, di risorse naturali (come l’acqua), di servizi collettivi (come la manutenzione di una struttura condominiale), che richiede tempo e, in definitiva, consiste nella messa a disposizione del tempo proprio, l’esercizio di competenze personali, per la costruzione di un ordine collettivo.
È la gestione di un ordine sociale dei beni comuni, che nella modernità è stata relegata ai margini, “recintata” all’interno del sistema capitalista, quando non cooptata alla sua logica di gestione privata, di estrazione del profitto.
(7, fine)
8. I procomuni, il capitale, un altro mondo… – Momento conviviale 1
La torta di tagliatelle con botto.
Elena Testa: – Da dove arriva questa torta?
Massimo De Angelis: – Dall’Appennino modenese e va mangiata con il Lambrusco.
9. I procomuni, il capitale, un altro mondo… – Momento conviviale 2
Qui, in una battuta, di come il “potere statale” non ha protetto le istituzioni del welfare dalla logica del mercato e dal processo di messa al lavoro delle vite per la valorizzazione del capitale. Anzi, di come ne sia un funzionario strategico.
10. I procomuni, il capitale, un altro mondo… – Momento conviviale 3 – La festa è finita?
Massimo De Angelis: – Nel ’79 avevo 19 anni… c’era una sensazione… come a dire, ma c’è qualcosa che non… cos’è questo “riflusso”, ma siamo pazzi! Ma scusa, mi stavo giusto giusto cominciando a divertire, cioè a divertire, ad avere consapevolezza un po’… Nooo! È finito tutto.
Renzo Ginepro: – Maggio del ’78, Moro…