È possibile affermare una progettualità alternativa della riproduzione sociale dentro l’imperativo capitalista della crescita economica, e dell’efficienza competitiva della produzione? In quale contesto sociale è possibile l’«emergenza» nei percorsi di «soggettivazione» degli individui, che ne permettono la formazione, di quelle pratiche sociali di lotta – come nel lungo ’68 italiano – orientate alla produzione stessa di un ‘comune’, di un senso del comune?
Nell’imprevedibilità della cosa, siamo alle prese con un dilemma. Quello di «vite invischiate» nel modo di produzione capitalistico, la cui sussistenza dipende, da una parte, dalla continuità della crescita del sistema, della sua incessante accumulazione di capitale – altrimenti è recessione economica, impoverimento delle condizioni materiali della moltitudine; dall’altra, dalla necessità di una sua drastica limitazione – altrimenti è l’incremento della diseguaglianza sociale e della distruzione ambientale, è la rottura catastrofica della relazione tra natura umana e natura non umana.
Come affrontare questo dilemma, per uscirne? Non basta il rifiuto. L’unica maniera, per Massimo De Angelis, consiste nel processo di “riappropriazione” delle risorse del sistema, delle condizioni attraverso le quali si riproducono le nostre vite, per costruire una progettualità ‘svincolata’ dalle forme oppressive della vita sociale.
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