«Il comune come condizione», per Massimo De Angelis, è la condizione di soggetti la cui attività produttiva, quanto più è alienata, separata, parcellizzata e gerarchizzata, tanto più è l’espressione di una combinazione, di una cooperazione sociale complessiva; ma di una socialità che è vincolata a una “misura delle cose”, a un processo di messa a valore della cooperazione sociale soltanto funzionale al sistema che la domina, quello della crescente accumulazione capitalistica (monetaria) della ricchezza sociale. E ciò a dispetto della ricca produttività sociale potenzialmente disponibile.
Ma da questa situazione antitetica come può emergere un progetto politico in grado di ricondurre la condizione del comune – questo “essere parte di qualcosa” – a un processo di emancipazione, a un progetto di società alternativa, desiderabile e necessaria, capace di mobilitare reali soggetti della trasformazione?
Massimo de Angelis ci invita ad andare oltre l’ideologia del “sacrificio”, oltre la misura individuale della rinuncia in nome di uno stile di vita più congruente con la questione ecologica del cambiamento climatico. E a porci la domanda: «Cosa si guadagna attraverso forme di condivisione? Quali sono le cose che devono uscire dalle nostre vite e quali devono rientrare?»
La “mancanza di tempo”, di un tempo sottratto alla realizzazione di sé, allo sviluppo della creatività individuale e collettiva, è oggi il vero terreno di scontro, lo spazio politico del conflitto tra autonomia della cooperazione sociale e sua subordinazione al comando capitalistico. Per liberare tempo occorre guardare senza pregiudizi ideologici a quel controllo, a quella “misura” del furto del tempo di vita, che continua a esercitarsi sull’immane disponibilità di tempo di una gran parte della società – di vite, messe al lavoro o rese inutili, di generazioni di uomini e donne a partire almeno dalla seconda metà del secolo scorso – a favore di una sua piccola parte.
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