È possibile che la Rete – la “mediazione dello schermo” – permetta la costruzione di comunità di esperienza, dove promuovere una nuova sensibilità per situazioni in cui si fa esperienza del limite – dei tabù del nostro tempo?
On-line si sperimenta un bisogno di socialità che promuove un terreno comune, esperienze di comunità della “sofferenza”, in cui si sperimentano nuove forme di empatia nella comunicazione dell’accadere della malattia, come quella oncologica. Ma è soprattutto sui social media, come osserva Davide Sisto, che si verifica una rottura del tabù più grande della società del ‘900, quello della rimozione sociale e culturale della morte, e una ripresa collettiva dell’esperienza dell’elaborazione del lutto.
Si tratta di una necessaria forma di sensibilità, in grado di metterci in contatto con la finitezza del vivente, il cui destino, per definizione, è l’essere mortale? O non invece il tentativo di esorcizzare la fragilità del vivente, la sua limitatezza, consegnandola alla permanenza dell’immagine, alla sua spettacolarizzazione, alla realtà dello “spettacolo che non finisce mai”?
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