Malintesi, malfunzionamenti tecnici, sovrabbondanza e scarsità di informazioni, silenzi sono alcune esperienze comuni nel comunicare di persona, con i media, online. Eppure, gran parte delle teorie della comunicazione le relegano in secondo piano oppure le ritengono eccezioni, incidenti, errori occasionali e che devono essere quanto prima eliminati per ristabilire una “buona” comunicazione.
La comunicazione imperfetta. Ostacoli, equivoci, adattamenti di Gabriele Balbi* e Peppino Ortoleva* propone invece di considerare tutti questi elementi, nei loro paradossi ed effetti contrastanti, come costitutivi di una nuova teoria della comunicazione. Una teoria che ha al centro sia gli ostacoli e le strategie a volte fallimentari per superarli, sia la capacità umana di correggere, adattarsi e ribaltare situazioni comunicative all’apparenza difficili.
Nel corso della cena “imperfetta”, la tesi libro sarà oggetto di discussione, e insieme agli autori si ragionerà intorno ad alcune domande:
– Quali sono i problemi più comuni che riscontriamo nelle nostre comunicazioni quotidiane? E perché secondo noi non riusciamo a risolverli?
– Che ruolo e che spazio hanno gli apparenti difetti e problemi della comunicazione nella vita di tutti i giorni?
– Ci sono casi della nostra vita quotidiana in cui siamo incappati in qualcuno dei fenomeni descritti nel libro? E come ne siamo usciti?
* Gabriele Balbi è professore associato in Media studies presso l’USI Università della Svizzera italiana di Lugano, dove insegna e svolge ricerche su storia e sociologia dei media e dirige il Bachelor in comunicazione. È direttore dell’Osservatorio sui media e le comunicazioni in Cina e presidente dell’ECREA Communication History Section. Tra le sue più recenti pubblicazioni, Digital Roots. Historicizing media and communication concepts of the digital age (a cura di, con Nelson Ribeiro, Valérie Schafer e Christian Schwarzenegger, Berlino 2021). Per Laterza è autore, con Paolo Magaudda, di Storia dei media digitali (2014), Media digitali. La storia, i contesti sociali, le narrazioni (2021) e L’ultima ideologia: Breve storia della rivoluzione digitale (2022).
* Peppino Ortoleva già professore di storia e teoria della comunicazione, curatore di musei e mostre sulla società, la cultura, le tecnologie del mondo contemporaneo, ha pubblicato tra l’altro I movimenti del ’68 in Europa e in America (1998), Il secolo dei media (2009), Dal sesso al gioco (2012). Per Einaudi ha pubblicato Miti a bassa intensità (2019), Sulla viltà. Anatomia e storia di un male comune (2021). È già stato ospite “esperto” di C O N D I R SI sul tema: Per farla finita con il ’68 (Cena n°. 46 di Mercoledì 7 Marzo 2018)
Copertina: Misunderstanding, malinteso, incomprensione
1. L’imperfezione della comunicazione: un “flusso” in continuo mutamento
La comunicazione “imperfetta” – ovvero della vulnerabilità cui la lingua, ma forse la vita tutta, è esposta – è quell’esperienza sempre possibile, permanente di messa in scacco della reciproca comprensione umana.
Una teoria che voglia davvero esplorare il funzionamento della comunicazione non può che partire dal suo “fallimento”: ovvero dal fatto che la comunicazione “è condizionata sempre da malintesi, malfunzionamenti tecnici, problemi derivanti dalla lacunosità o sovrabbondanza dell’informazione, silenzi, segreti mantenuti o rivelati e altre forme più o meno deliberate di messaggio indiretto, obliquo”. (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
La comunicazione è un processo, un “flusso in continuo mutamento”, che non può essere racchiuso in modelli di una sua ideale rappresentazione lineare: gli scambi comunicativi sono anzi per la maggior parte connaturati da incompletezza, approssimazione, interruzioni, ambiguità.
In altre parole, nella vita abbiamo a che fare con una comunicazione che è sempre mutevole nel tempo, spesso non lineare, in cui i vari partecipanti sono chiamati a compiere continui processi di adattamento alla mutevolezza dei contesti comunicativi, e a compiere più spesso uno “sforzo di comprensione” se interessati a una reciproca espressività nella convivenza.
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2. La sovra-interpretazione: il caso esemplare della relazione amorosa
È proprio della specie umana il bisogno di dare un senso a tutto – è “una specie intrinsecamente interpretante”. Andare al di là dei significati letterali di un messaggio – che sia di parole o di silenzi, una mimica di un volto o un gesto del corpo, anche di assenze o di mancanze – è certo una risorsa della nostra specie. Il rischio è di «sovra-interpretare» i messaggi che compongono l’ambiente informativo della comunicazione umana.
A fronte di questo sovraccarico interpretativo, la tesi della linearità della comunicazione appare un “mito facile”. E, altrettanto, lo è quello opposto della incomunicabilità umana – una moda degli anni ’60. Il problema della sovra-interpretazione semmai evidenzia che il problema della comunicazione umana è appunto la sua imperfezione.
Esemplare è il caso della relazione amorosa. Nel “gioco del messaggio amoroso” interviene sempre la presenza di “un terzo”. Il bisogno d’amore non accade solo all’interno del contesto relazionale della coppia, ma avviene nel più ampio contesto della sua “ricezione” sociale: le parole per dire l’emozione del sentimento amoroso da dove provengono se non dai modelli culturali – in Occidente a partire almeno dall’età moderna – la cui grammatica, dal romanzo alle canzonette, ne fornisce un’interpretazione? (Vedere anche Cena n°. 12 – Relazioni ed emozioni: forme e colori del vivere con gli altri – con Diego Iracà – Video n° 5: L’incontro con l’altro e il bisogno di dirsi)
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3. Il malinteso on line: emoji e messaggi vocali, tra oralità e scrittura
L’attuale ambiente informativo – quello dei sistemi di messaggistica online e dei social media – quale forma peculiare di fraintendimento, di malinteso comporta? Sui social media l’informalità immediata del messaggio – tipica dell’oralità – e, al tempo stesso, la sua permanenza – tipica invece della scrittura – non fanno che produrre, attraverso una continua decontestualizzazione e ricontestualizzazione dei messaggi, la possibilità di un loro mutare, anche radicalmente, di senso.
La moltiplicazione dei media – un flusso informativo che si muove tra scarsità e sovrabbondanza – non fa che accrescere la possibilità del “fraintendimento” con effetti tutt’altro che trascurabili sui processi di elaborazione, di trasmissione, di ricezione, di comprensione dei messaggi. E anche dare luogo ad abusi (body shaming) e a inganni.
Ma davvero l’ambiguità comunicativa ha solamente effetti negativi? E, poi, è davvero possibile abolire il malinteso, e stabilire una “sintassi” lineare dei buoni e dei cattivi modi di comunicare? O non è forse meglio adottare una visione non lineare del comunicare e riconosce così che l’azione di elaborazione, trasmissione e ricezione dei messaggi è sempre complessa, stratificata, e proprio per questo sempre «imperfetta»?
“A maggior ragione nell’attuale universo informativo, dominato dalla simultaneità e dalla reciprocità/interazione dei ruoli, una visione non lineare del comunicare è semplicemente indispensabile proprio perché riconosce nell’essere circondati da informazioni spesso incompiute e anche frammentarie non solo una realtà inevitabile ma anche un aspetto dell’umanità stessa del comunicare.” (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
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4. La ripetizione: messaggi impliciti e automatismo comportamentale
C’è come una sorta di economia relazionale che regola in maniera tacita la comunicazione, soprattutto nella sua quotidianità. È quella dei contenuti impliciti, l’informazione sottintesa, nei dialoghi e nei messaggi, la cui ovvietà, ciò che si dà per scontato, “ha prima di tutto il ruolo di risparmiarci fiato e fatica […] Ma ha anche il ruolo più delicato di far sentire tutti i protagonisti di una comunicazione come parte di un unico mondo, che fa da sfondo alla vita degli uni e degli altri. E che fornisce un quadro comune di riferimenti. Una quota di «non detto» è quindi non solo inevitabile ma anche psicologicamente e socialmente essenziale in tutte le forme di comunicazione.” (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
La comunicazione implicita è pervasiva nella relazione di coppia, tra genitori e figli, in situazioni sociali di regolare frequentazione reciproca, ad esempio, tra compagni di classe o tra colleghi di ufficio e, in maniera stringente, tra compagni di uno stesso plotone militare. Essa tende a creare automatismi comportamentali funzionali al mantenimento della reciprocità relazionale, che, nel bene o nel male, è strettamente dipendente dallo sfondo emozionale che si sperimenta gli uni verso gli altri.
Vale per il mantenimento della vita di relazione ciò che vale per la vita degli oggetti: la limitazione dei comportamenti, la creazione di abitudini, si collega al termine di affordance (invito all’uso), per cui dalla qualità fisica di un oggetto si può dedurne la funzionalità implicita. L’instaurarsi di una sorta di ripetitività comunicativa mira in definitiva a ridurre la complessità dell’ambiente informativo in cui ogni messaggio è immerso.
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5. Scarsità e sovrabbondanza di informazione: il caso del cospirazionismo
La scarsità di informazione, di informazione attendibile, non riduce affatto l’accesso a una comprensione del mondo, anzi, spesso ha un effetto contrario: tende a produrre «informazioni» (a volte del tutto o solo in parte, false, a volte non distinguibili da una notizia) in grado di affrontare la sfida della complessità del mondo.
L’“invenzione” dell’informazione è una tendenza tipica del cospirazionismo. Vale l’affermazione di Richard Hofstadter, per cui i cospirazionisti «a volte nella loro stravagante passione per i fatti arrivano a fabbricarli». A soddisfare, appunto, il bisogno di una spiegazione generale, di ricondurre a una causalità unica il problema della presenza del “male” nel mondo. Al riguardo, La storia della colonna infame di Alessandro Manzoni è davvero straordinaria nella narrazione del fenomeno cospirazionista.
Ma anche l’eccessiva quantità di informazione può avere un effetto simile sul cospirazionismo. La necessità di semplificare il flusso di comunicazioni e le varie versioni contrastanti di un medesimo fatto (come la pandemia del Covid-19), finisce per giustificare la ricerca e la selezione di fonti all’apparenza meno accessibili o tenute nascoste dall’informazione mainstream.
“La produzione e la diffusione di storie cospirazioniste, insomma, può essere mossa sia da una scarsità sia da una sovrabbondanza delle informazioni, il che conferma la tesi […] secondo cui quelle che all’apparenza sono due condizioni opposte in realtà possono avere anche effetti convergenti.” (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
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6. Excursus – Sulla burocrazia e il formulario
Il termine “burocrazia” è un’invenzione della Francia del sec. XVIII. Ma che cos’è la burocrazia (potere di una scrivania)? Per Peppino Ortoleva, è la ripetizione eletta a sistema: una macchina che funziona nella perfetta ripetibilità di procedure, di protocolli, di formulari, anche comunicativi. “La ripetizione è il suo strumento militare”.
Fino a che punto è pensabile estendere l’impiego di una procedura standard – un algoritmo – per la soluzione di un problema della vita sociale che richiede un’intelligenza organizzativa?
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7. La produttività dell’imperfezione: la traduzione, la mediazione tecnologica e l’“errore”
La comunicazione è imperfetta, perché nella maggior parte degli scambi comunicativi si avverte una sfasatura, la non perfetta coincidenza dello spazio semantico di una parola da un essere umano a un altro; si avverte che c’è qualcosa di problematico, che segnala l’esistenza di una diversità, di una “differenza” che è da salvaguardare.
Lasciare un “margine all’incertezza”, alla probabilità è ciò che garantisce valore linguistico della comunicazione nell’incontro con l’altro, l’incontro tra una molteplicità di culture e di mondi. Basta pensare a quello che accade nella traduzione. E, non meno, anche nell’esecuzione musicale.
Alla base dei modelli lineari della comunicazione “c’è, in generale, anche una rappresentazione idealizzata del logos, che fa corrispondere il linguaggio nella sua forma «pura» al pensiero nella sua pretesa sequenzialità, regolarità e razionalità.” Al contrario, l’“errore” nella comunicazione (mediata o meno da una strumentazione tecnologica), è il segnale che gli “esseri umani […], in maniera pressoché costante, usano i media e si scambiano messaggi anche per adeguarsi all’universo che li circonda, composto di altre persone e di strumenti, e per adattare quell’universo alle proprie esigenze”; è il segnale che la comunicazione “non è un’attività chiusa in sé stessa, ma è parte di questo continuo e duplice adattamento, che procede per prova ed errore, come sempre accade nelle relazioni tra le persone.” (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
E, in definitiva, l’imperfezione del comunicare umano – e spesso in forza dei suoi stessi limiti – può risultare produttiva o devastante, essere ricca fonte di espressione e creatività o disastrosa causa di sofferenza e di perdita.
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8. La comunicazione a scuola: tra oralità e disciplina della scrittura
La scrittura è una “tecnologia dell’intelletto”, del sapere. Non influenza solo l’attività di apprendimento, ma l’ambiente di comunicazione entro cui avviene l’esperienza di apprendere. E là, soprattutto, dove la scrittura, nella linearità del suo carattere a stampa, è relegata dentro a un libro, l’ambiente di apprendimento – la scuola – finisce per presentare modalità standard uniformi e autoritarie di comunicazione.
La disciplina della scrittura richiede una diversa applicazione di codici comunicativi rispetto a quella esercita in un ambiente in cui è prevalente la dimensione di un’oralità più “informale” – il cui codice, in alcuni contesti socio-culturali, si presenta in realtà affatto rigido. In aula, la comunicazione scolastica non richiede solo di apprendere regole d’uso di una lingua culturalmente elaborata – non è risolvibile solo nella testa di chi apprende, in una pura competenza cognitiva; ciò che è da apprendere è l’esercizio di una pratica sociale, la capacità di assumere la prospettiva di un ruolo sociale di interlocutore funzionale a quel contesto di apprendimento, alla situazione linguistica dell’aula. È una competenza sociale che comporta una disciplina emotiva e affettiva molto elevata.
PS: la conversazione a tavola sul tema dell’apprendimento comunicativo a scuola è stata una “perfetta” dimostrazione della pertinenza del modello della comunicazione imperfetta.
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9. Non esiste il male assoluto, l’umano vive nel tempo, nella storia
Il paradigma dell’imperfezione è in grado di farsi carico di opportunità e limiti della comunicazione, di quella problematicità che deriva dalla varietà sorprendente degli esseri umani. La cosa bella è confrontarsi con la diversità degli esseri umani, è dare spazio alle persone.
Pensare che l’odio sia più interessante dell’amore, che il male sia più interessante del bene, è per Peppino Ortoleva un vizio tipico del nostro tempo. L’ambiguità dell’umano – del suo essere a volte buono e a volte cattivo – è pervasiva nell’immaginario letterario contemporaneo – e la diffusione del genere noir è, al riguardo, emblematica. La figura letteraria del malvagio – Iago nell’Otello di Shakespeare – è in effetti intrigante, affascinate. In realtà, il bene è più interessante del male, proprio per il suo essere meno ovvio. La figura del buono è anche più misteriosa, ed è rarissima.
Fare di Adolf Hitler, un personaggio storico, la figura del male assoluto è, per Peppino Ortoleva, un errore. Il male assoluto isola un personaggio e ne fa una figura metafisica. Al contrario, del male continua a valere ciò che ne osservò Hannah Arendt, che si manifesta nella banalità. Non esistono esseri umani diabolici. Non c’è il cattivo assoluto, come non c’è il buono assoluto. Il che non significa chiudere gli occhi di fronte all’orrore, alle atrocità di cui l’essere umano è capace. Il male appartiene a figure della storia, è storia, che è il modo in cui l’umano vive nel tempo.
In cosa consiste oggi il male? La figura letteraria di Lady Roxana, nell’omonimo romanzo di Daniel Defoe, ne è una straordinaria anticipazione: è l’avidità, espressione della mentalità di una società basata sul denaro – è un “fare di conto” di una prostituta a svelare il destino relazionale dell’individuo moderno, che «si identifica con la venalità e corruzione generali», con «la prostituzione generale […] come una fase necessaria del carattere sociale delle disposizioni, capacità, abilità e attività personali. In termini più compiti si dice: l’universale rapporto di utilità e di utilizzabilità» (Karl Marx). È una banalità, per quanto scandalosa, ma è questa banalità a far girare il mondo, che nel perseguire l’indipendenza individuale non fa che realizzare una generale indifferenza reciproca.
E della bontà cosa siamo in grado di dire? Il bene non sta solo nelle azioni buone. Le persone buone sono coloro che guardano oltre sé stesse, oltre i propri interessi, che sanno dare una parte di sé agli altri con generosità. La loro esistenza non è ovvia, l’economia politica non le spiega.
(9, continua)
10. La relazione di cura: darsi all’altro e altri contesti di comunicazione
È sufficiente affidare la cura delle relazioni tra essere umani alla sola generosità, all’“essere genuinamente interessato all’altro” (Arthur Frank)? Interessarsi all’altro, forse, non è solo una questione di generosità. È disponibilità a darsi, un dare di sé all’altro, almeno in parte. È una forma d’arte, come è il “romanzo bello”, che è tale perché il lettore è coinvolto, si interessa al destino dell’altro.
Il paradigma della comunicazione imperfetta può aiutare in questa direzione? Per Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva, sarebbe auspicabile. Anzitutto, per cominciare, non solo chiedersi quale effetto la comunicazione può avere sugli altri, ma imparare a tollerarne l’imperfezione stessa, l’inevitabile e addirittura indispensabile ambiguità. E, poi, si tratta di allargare e approfondire il discorso su contesti specifici di comunicazione – come quello didattico, dell’educazione, o medico, della guarigione – e su altri contesti ancora, come quello bellico.
Lo stato drammatico attuale della convivenza umana, di cui la guerra – che è alla lettera geno-cidio, uccisione del genere, di donne e bambini – è il sintomo più grave e atroce, non deve impedire di chiederci come fare a stabilire una relazione di cura, a guarire dalla violenza del dominio.
(10, fine)
11. La comunicazione imperfetta – Momento conviviale 1
La produttività del silenzio
Peppino Ortoleva: – Il silenzio è l’ambiguità assoluta. E non è vero che la persona silenziosa è la persona migliore, però a volte se ne sente tanto il bisogno.
12. La comunicazione imperfetta – Momento conviviale 2
Sulla traduzione della filosofia
Peppino Ortoleva: – La traduzione filosofica è un problema immenso. Il problema è che la filosofia è una disciplina che cerca di avere una linearità, la storia della filosofia è tutta lineare, quando poi c’è un livello di idiosincrasia tra i diversi autori che è immenso, cioè una diversità proprio mentale che significa anche linguistica. Tradurre la filosofia è un grandissimo casino, che è stato molto semplificato da una logica di tipo manualistico…
13. La comunicazione imperfetta – Momento conviviale 3
Una quartina di Omar Khayyâm nella traduzione di Alessandro Bausani
Peppino Ortoleva: – Alessandro Bausani era un genio. Non ci sono leggi assolute. L’imperfezione [della comunicazione] è anche che ci sono gli imbecilli e i geni.