C’è come una sorta di economia relazionale che regola in maniera tacita la comunicazione, soprattutto nella sua quotidianità. È quella dei contenuti impliciti, l’informazione sottintesa, nei dialoghi e nei messaggi, la cui ovvietà, ciò che si dà per scontato, “ha prima di tutto il ruolo di risparmiarci fiato e fatica […] Ma ha anche il ruolo più delicato di far sentire tutti i protagonisti di una comunicazione come parte di un unico mondo, che fa da sfondo alla vita degli uni e degli altri. E che fornisce un quadro comune di riferimenti. Una quota di «non detto» è quindi non solo inevitabile ma anche psicologicamente e socialmente essenziale in tutte le forme di comunicazione.” (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
La comunicazione implicita è pervasiva nella relazione di coppia, tra genitori e figli, in situazioni sociali di regolare frequentazione reciproca, ad esempio, tra compagni di classe o tra colleghi di ufficio e, in maniera stringente, tra compagni di uno stesso plotone militare. Essa tende a creare automatismi comportamentali funzionali al mantenimento della reciprocità relazionale, che, nel bene o nel male, è strettamente dipendente dallo sfondo emozionale che si sperimenta gli uni verso gli altri.
Vale per il mantenimento della vita di relazione ciò che vale per la vita degli oggetti: la limitazione dei comportamenti, la creazione di abitudini, si collega al termine di affordance (invito all’uso), per cui dalla qualità fisica di un oggetto si può dedurne la funzionalità implicita. L’instaurarsi di una sorta di ripetitività comunicativa mira in definitiva a ridurre la complessità dell’ambiente informativo in cui ogni messaggio è immerso.
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