La comunicazione è imperfetta, perché nella maggior parte degli scambi comunicativi si avverte una sfasatura, la non perfetta coincidenza dello spazio semantico di una parola da un essere umano a un altro; si avverte che c’è qualcosa di problematico, che segnala l’esistenza di una diversità, di una “differenza” che è da salvaguardare.
Lasciare un “margine all’incertezza”, alla probabilità è ciò che garantisce valore linguistico della comunicazione nell’incontro con l’altro, l’incontro tra una molteplicità di culture e di mondi. Basta pensare a quello che accade nella traduzione. E, non meno, anche nell’esecuzione musicale.
Alla base dei modelli lineari della comunicazione “c’è, in generale, anche una rappresentazione idealizzata del logos, che fa corrispondere il linguaggio nella sua forma «pura» al pensiero nella sua pretesa sequenzialità, regolarità e razionalità.” Al contrario, l’“errore” nella comunicazione (mediata o meno da una strumentazione tecnologica), è il segnale che gli “esseri umani […], in maniera pressoché costante, usano i media e si scambiano messaggi anche per adeguarsi all’universo che li circonda, composto di altre persone e di strumenti, e per adattare quell’universo alle proprie esigenze”; è il segnale che la comunicazione “non è un’attività chiusa in sé stessa, ma è parte di questo continuo e duplice adattamento, che procede per prova ed errore, come sempre accade nelle relazioni tra le persone.” (da La comunicazione imperfetta di Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva)
E, in definitiva, l’imperfezione del comunicare umano – e spesso in forza dei suoi stessi limiti – può risultare produttiva o devastante, essere ricca fonte di espressione e creatività o disastrosa causa di sofferenza e di perdita.
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