È sufficiente affidare la cura delle relazioni tra essere umani alla sola generosità, all’“essere genuinamente interessato all’altro” (Arthur Frank)? Interessarsi all’altro, forse, non è solo una questione di generosità. È disponibilità a darsi, un dare di sé all’altro, almeno in parte. È una forma d’arte, come è il “romanzo bello”, che è tale perché il lettore è coinvolto, si interessa al destino dell’altro.
Il paradigma della comunicazione imperfetta può aiutare in questa direzione? Per Gabriele Balbi e Peppino Ortoleva, sarebbe auspicabile. Anzitutto, per cominciare, non solo chiedersi quale effetto la comunicazione può avere sugli altri, ma imparare a tollerarne l’imperfezione stessa, l’inevitabile e addirittura indispensabile ambiguità. E, poi, si tratta di allargare e approfondire il discorso su contesti specifici di comunicazione – come quello didattico, dell’educazione, o medico, della guarigione – e su altri contesti ancora, come quello bellico.
Lo stato drammatico attuale della convivenza umana, di cui la guerra – che è alla lettera geno-cidio, uccisione del genere, di donne e bambini – è il sintomo più grave e atroce, non deve impedire di chiederci come fare a stabilire una relazione di cura, a guarire dalla violenza del dominio.
(10, fine)