Una vera educazione sentimentale di cosa ha bisogno? Per Gabriele Vacis, c’è bisogno di fare esperienza dell’“altro” come portatore di un valore, della scoperta di una “simpatia” tra sé e gli altri – è il danzare camminando di Gimmy, un ragazzo autistico, è l’ascoltare il vento di Elisa, una ragazza autistica, è il giocare con il pallone di Daniele, un ragazzo con la sindrome di Down. C’è bisogno, insomma, di un’esperienza di riconoscimento, della scoperta di un’affinità̀ di valori, che si manifesta come interazione, di una interazione densa di significato, tra una realtà̀ (la natura, un oggetto), un artista e un fruitore, la cui espressione “incorporata” è fonte di grande piacere, come lo è, appunto, il fare esperienza della bellezza.
Fondare la nozione di bellezza su quella di interazione – di un incontro, nella sua pienezza sensoriale e sensuale – significa rendere possibile, per Gabriele Vacis, quella “transizione estetica” di cui parla Wendy Steiner: «Per molti secoli la bellezza, l’arte, – dice – è rimasta ostaggio della forma. Il futuro dell’arte è nell’interazione». La performance artistica di Marina Abramović in The Artist Is Present (2010) segna il punto di svolta di questo passaggio fondamentale per l’arte contemporanea.
Ciò di cui, quindi, c’è bisogno, per una educazione sentimentale, è pensarsi con il corpo, il che significa ripensare attraverso la nozione di bellezza la relazione tra estetica ed etica – una possibilità presente e, soprattutto, futura per il teatro e, in generale, per l’arte, di uscire da una funzione di intrattenimento e di spettacolo, e farsi invece espressione di “cura”, nella convivenza.
(7, continua)