La storia di una vita si compone nel corso del suo farsi. È aperta all’imprevisto. Non è un processo lineare e, nel succedersi degli eventi, è mutevole nel tempo, ed è messa alla prova della ricerca di una coerenza. L’autobiografia di Gianfranco Pancino, nella sua “fortuna di vivere tre vite diverse”, dalla militanza politica allo spaesamento in un altrove e alla ricerca scientifica, ne è una dimostrazione.
Una vita, insomma, è chiamata a vivere continui processi di “adattamento” – per adattarsi al mutamento dei contesti della vita sociale e, al tempo stesso, per adattare quei contesti all’esigenza di una maggiore vivibilità. Ma se ciò che mette una vita “in processo”, per apprendere qual è il suo posto nel mondo, è la promessa stessa di un mondo migliore, cosa succede? Succede che questa richiesta – ed è la richiesta di un cambiamento radicale – trasforma la vita di un individuo, il suo impegno esistenziale, in progetto politico.
Ma perché si dia, nella vita singola, quello scarto qualitativo, il suo farsi “militanza politica”, “progetto di sovversione del presente”, di cosa c’è bisogno? Da dove nasce quel “senso del possibile”, quel sentimento di potenza nell’agire di un individuo che, per Gianfranco Pancino, è stata la forma di coscienza che si è espressa nelle lotte del “movimento” degli anni Settanta della nostra società? Una stagione incommensurabile rispetto al mondo attuale, la cui violenza – “di distruzione e di guerra, di sopraffazione e di saccheggio della terra, della natura” – consegna l’individuo a un senso di impotenza, ad un’azione senza esito, nei processi di trasformazione del mondo.
Di fronte al fallimento, alla sconfitta di quel progetto politico, a cosa fare appello, allora? Per Gianfranco Pancino, è alla vita appassionata contro il male del mondo ciò cui non si può rinunciare. E, nel suo caso, è stata la passione per la ricerca scientifica, il desiderio di conoscenza, come medico, dei meccanismi biologici che soggiacciono alla malattia, nella ricerca sul cancro del seno e sull’AIDS.
E, ancora, Gianfranco Pancino ci invita a riconosce che, pur nel “casino” di una vita, c’è bisogno di qualcosa il cui posto nella vita è importante, ed è da rivendicare con forza: è il bisogno di comunicazione, di vita collettiva e, soprattutto, di festa, “dove l’allegria investe il gruppo”, che è poi ciò che succede nel farsi dell’amicizia.
(1, continua)