Qualche breve spaccato di vita. In ognuno, una sequenza di eventi che, come in ogni vita reale, è la casualità, anzi, l’arbitrarietà dell’inatteso, a modellare. Quando però l’imprevisto è tale da segnare una svolta, una rottura dalla vita di prima e aprire la vita che viene dopo al cambiamento, all’incognita del nuovo, allora si pone un problema di che cosa permarrà di sé stessi nel nuovo contesto, nella nuova vita.
È vero, nessuno può sapere come andrà a finire… – a meno che si abbia la fortuna di incontrare una zingara che sa predire il futuro. Il problema di ciò che perdura di noi stessi è il problema di dare coerenza, di fare forma nel suo farsi, alla nostra storia. Ma da che dipende il senso di continuità di una vita? Che cosa, nel succedersi degli eventi, permette di assumersi la responsabile libertà di decidere effettivamente di sé? Come suggerisce Gianfranco Pancino, forse dipende dalle modalità dell’apprendere, e dell’apprendere a vivere, che in questa citazione, a me sembra, espresso in modo efficace:
Il dubbio può fertilizzare il pensiero. Non quello che rafforza l’inerzia, il dubbio esistenziale che diventa ostacolo alla scelta, che sprofonda l’animo nell’angoscia, ma il dubbio come forza creatrice, come spinta continua a nuova conoscenza. La domanda che dovrebbe guidare il nostro agire è: “Se non fosse così, come potrebbe essere?” La ricerca del “come potrebbe essere” è una molla potente per il progresso del sapere.
(Gianfranco Pancini, Ricordi a piede libero, Mimesis, Milano 2024, p. 419)
Quel che vale per il “progresso del sapere” forse vale anche per il nostro vivere. Perché vivere ha a che fare con contesti – i diversi mondi della vita, dall’economico al sociale, dal giuridico al politico, dall’affettivo e altro ancora – sempre aperti al possibile, a ciò che va oltre l’esistente, e alla conoscenza che se ne ha.
(7, continua)