Cosa fa quella macchina digitale che è lo smartphone? È progettata per la raccolta di dati relativi al comportamento del suo possessore e all’ambiente in cui si trova, anzi, per portare al limite massimo la raccolta dei dati, nella prospettiva di un loro potenziale valore economico. E come lo fa? Lo fa principalmente attraverso i “sensori”, dispositivi fisici in grado di generare dati associati a un’identità personale.
La questione critica, per Juan Carlos De Martin, non è tanto la regolazione dei dati, a monte – come i dati vengono gestiti – ma la generazione stessa dei dati, a valle – e cioè perché i dati vengono raccolti? Questa spinta alla raccolta dati non riguarda solo lo smartphone ma, in generale, la nostra vita e, soprattutto, il nostro ambiente. I dispositivi cosiddetti smart, cioè in associazione alla Rete, a Internet, sono una presenza sempre più invasiva nel nostro stile di vita. Stiamo assistendo a un processo di “computerizzazione del mondo”.
L’esistenza fisica dei dati è sempre un potenziale rischio per la libertà personale. Al di là della loro legittimità, la raccolta, la registrazione e la conservazione nel tempo dei dati personali compongono una sequenza che in ogni passaggio richiede una riflessione collettiva, culturale e civile, essere cioè oggetto di una riflessione critica, democratica, perché, come osserva Juan Carlos De Martin, la tecnologia è politica, è uno dei grandi fattori che danno forma al presente e al futuro dell’umanità.
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