«I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo.» (Tesi su Feuerbach, XI)
Per filosofare bisogna prima mangiare, è una premessa ineludibile per Karl Marx. Per avere una “comprensione adeguata” del mondo è necessario prima fare esperienza della sua realtà effettuale, storica; la realtà storica di una società, in base a come si struttura la sua riproduzione materiale, genera delle condizioni costitutive e vincolanti per lo sviluppo di ulteriori forme espressive (culturali, istituzionali) della società. È un punto di partenza ragionevole. Ed è questa posizione teorica, che è possibile riassumere nel concetto di «critica», a fare da filo conduttore dell’intera produzione di Karl Marx, fino a Il capitale – un’opera dall’esito ancora sempre incompiuto.
Il capitale, che più che una “teoria economica” è una ricostruzione complessiva del funzionamento della società moderna nel suo insieme, presenta una sfida teorica in più: quella di passare da una rappresentazione del mondo a una comprensione generativa di una sua trasformazione reale, in pratica. Ma come può la strumentazione concettuale che Il capitale contiene – la critica dell’economia politica – essere in grado di qualificare la semplice “esposizione” teorica della realtà come la sua “critica” stessa? Dentro ai processi reali della società cui fa riferimento, è possibile individuare i “soggetti della critica”, ovvero soggettività storiche capaci di farsi carico di una possibilità conoscitiva del mondo e insieme della sua critica?
A cena staremo insieme a Roberto Fineschi* per ripartire dalla teoria marxiana del capitale, per riscoprire un’opera che ha l’obiettivo di spiegare in maniera organica e sistematica la natura processuale di molti dei fenomeni storico-economici-sociali in atto nella società. E cercheremo di orientarci all’interno dell’attuale fase di sviluppo della riproduzione capitalistica della società, che Roberto Fineschi chiama “capitalismo crepuscolare”.
* Roberto Fineschi è studioso di filosofia e teoria economica, insegna a Siena. Fra le sue pubblicazioni La logica del capitale. Ripartire da Marx (Napoli, 2021) Marx e Hegel. Fondamenti per una rilettura (Napoli, 2024), Marx (Brescia, 2021) e Un nuovo Marx (Roma 2008). Vincitore del premioRjazanov 2002, è curatore di una nuova versione del I libro del Capitale (Einaudi, Torino 2024) dopo la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (MEGA2). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle loro Opere complete di Marx ed Engels e dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. I suoi saggi sono tradotti in varie lingue.
1. Ripartire da Karl Marx: la sfida di una teoria trasformativa del mondo
L’XI tesi su Feuerbach di Karl Marx – «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo» (1845) – pone un problema: come una teoria, una conoscenza del mondo può diventare parte dell’attività pratica di una sua trasformazione? La sfida della teoria marxiana, nella sua formulazione matura, e pur sempre incompiuta, contenuta ne Il Capitale, è appunto quella di riuscire a connettere le due dimensioni, della teorica e della pratica, di attribuire alla teoria una funzione trasformativa della realtà.
La non riuscita storica di questa sfida ne esaurisce anche la portata teorica? Di fatto, di fronte alla situazione sociale, altamente conflittuale e critica, a differenza delle teorie mainstream, la teoria marxiana continua a dimostrare la sua autorevolezza; e proprio per la sua capacità di spiegazione della realtà sociale presente, dalla globalizzazione alla ciclicità strutturale delle crisi economiche, dal conflitto sociale alla dominanza tecnologica nella produttività del lavoro fino alla crisi ecologica globale. È un paradigma teorico alternativo, «il cui scopo fondamentale è delineare la struttura della società moderna nel suo complesso».
Una comprensione della realtà che ne spiega il funzionamento – a più livelli, dal modo di pensare al modo di vivere – permette anche di passare a una sua trasformazione, in pratica? Quali sono state, e sono, le difficoltà – teoriche e organizzative – di questo passaggio?
(1, continua)
2. I tre libri de Il capitale: una teoria della modernità nel suo complesso
La nuova edizione storico-critica dei tre libri de Il Capitale contiene l’esposizione, là dove si presenta in forma compiuta, di una teoria vera e propria. E, inoltre, là dove risulta allo stato di manoscritto, e non risolta in alcuni nodi controversi – come la teoria della trasformazione dei valori in prezzi e la caduta tendenziale del saggio del profitto –, è possibile, per Roberto Fineschi, rintracciare una coerenza che nel dibattito tradizionale è stata contestata all’opera di Karl Marx.
«Una coerenza che è molto più simile alla realtà, che si sviluppa cioè in una direzione anche più aperta a un eventuale integrazione, a un cambiamento della teoria». Ad esempio, una delle questioni chiave, che nel discorso dominante scompare, «è che siamo in un’economia capitalistica»; al concetto di capitalismo la pubblicistica corrente preferisce sostituire la parola “economia”, come fosse un’entità astratta, attraverso cui si opera una “naturalizzazione” di un modo di produzione, quello capitalistico, che è in realtà un’epoca della riproduzione umana nella natura. L’economia in generale per Karl Marx non esiste.
La teoria marxiana è appunto la teoria del modo di produzione capitalistico e, più che una teoria economica, è una teoria generale della società, della modernità nel suo complesso. Ma in quanto realtà storica, che Karl Marx analizza a partire dalla sua “cellula elementare”, la merce, quale processualità interna presenta il modo di produzione capitalistico, la civiltà del capitale? È una processualità che mostra una sua “finitezza”, che non è imputabile al solo fatto di essere storica, ma al fatto che la sua dinamica di sviluppo entra in contraddizione con sé stessa, per una contraddittorietà interna alle stesse leggi della sua evoluzione. Una “logica del capitale”, che per la capacità interpretativa marxiana può essere usata per trasformare la società.
(2, continua)
3. L’individualismo, la percezione di sé come persona: una pratica sociale di massa
Nella nostra società, il concetto di “individuo” è l’immagine pervasiva con sui si fa riferimento all’essere umano. Ma da dove sorge l’idea dell’individuo come un’entità che può esistere indipendentemente dal suo contesto relazionale, dalla società? Quando invece, in una società di mercato, è vero il contrario: la sua esistenza è possibile solo a partire da un “contesto di interdipendenza” globale – dove «lo scambio generale delle attività e dei prodotti, [che] è diventato condizione di vita per ogni singolo individuo» e al tempo stesso, «la connessione che unisce l’un l’altro si manifesta a loro stessi estranea, indipendente, come una cosa»» (Karl Marx)
Perché, pur nell’evidente paradosso, l’individualità, questa forma di soggettività moderna dotata di personalità, e cioè portatrice nella sua attività privata dei valori di uguaglianza e libertà, si configura come una dotazione di “natura”, come una presunta natura umana “al di fuori dalla storia”?
L’individualismo, l’illusione dell’individuo di esistere come soggetto autonomo, è per Karl Marx il risultato di una pratica sociale generale di massa, una “parvenza fenomenica”, è cioè il modo in cui i soggetti del processo di una «universale scambiabilità» si relazionano alla superficie della società. Il problema è che così ne va della comprensione del nostro stare al mondo. Il senso stesso del legame sociale che tiene insieme individuo e società risulta essere di difficile comprensione.
È possibile allora sviluppare una diversa autocoscienza dell’essere umano? In che misura la partecipazione al processo lavorativo, che sta alla base della riproduzione sociale, può dare forma a una soggettualità alternativa? Nell’attuale fase di crisi del processo di valorizzazione capitalistico, che Roberto Fineschi chiama “capitalismo crepuscolare”, quale torsione ideologica subisce la costruzione del concetto di persona, e la sua stessa universalità? E quale ulteriore evoluzione fenomenica presenta oggi l’individualismo?
(3, continua)
4. C’è bisogno di una narrazione alternativa etica al discorso “la torta è questa”?
Fino a che l’individuo continua a riferirsi alle condizioni sociali e materiali della ricchezza, «che è lui stesso a elaborare, non come a quelle della propria ricchezza, bensì della ricchezza altrui e della propria povertà» (Karl Marx), come è possibile uscire dalla narrazione corrente che il problema della crescente diseguaglianza sia solo un problema di ripartizione della ricchezza generale, a giochi già fatti – la “torta è questa”? Di quel che cioè resta della torta. Perché il divario crescente tra chi ha sempre di più e chi ha sempre di meno è già il risultato del fatto che la partecipazione dell’individuo alla ricchezza generale è solo funzionale al processo di valorizzazione (monetaria) del capitale, e la lotta per quel che resta della torta finisce poi per tradursi in una guerra tra poveri.
Esiste una narrazione alternativa, improntata a un’etica di maggiore giustizia sociale? Ce n’è bisogno, ma chi oggi è in grado di farsene carico? Per Roberto Fineschi, però la narrazione non basta. Il problema è uscire da una prospettiva individualistica. Nel partire da sé stesso, per l’individuo il cui interesse privato consiste nel destinare le proprie risorse nel raggiungere il massimo livello di utilità qualsiasi interferenza – di un altro – appare come una minaccia.
La promozione dei valori del rispetto reciproco, per quanto desiderabile, non può bastare fino a che persistono i “meccanismi” sociali che producono diseguaglianza e precarietà sociale. Il problema sta nell’intervenire a livello di politiche sociali. Ma oggi quale soggetto politico si fa portatore di questa prospettiva, cioè di come far funzionare, di come organizzare la società per una maggiore giustizia sociale?
(4, continua)
5. “Percepire” la non-naturalità dell’economia capitalistica, un problema
«Tutta la scienza sarebbe superflua se la forma fenomenica e l’essenza delle cose coincidessero in maniera immediata» (Karl Marx). Nella prospettiva marxiana, infatti, la scienza, per essere davvero tale, deve avere un carattere anti-empirico e anti-naturalistico, essere una spiegazione di tipo processuale della connessione interna dei rapporti che appaiono alla superficie della società. Il punto chiave è la storicità delle categorie che servono a darne una spiegazione: la realtà sociale, nel suo essere così com’è, è sempre il risultato di uno specifico processo genetico e riproduttivo, e svelarne la storicità, la processualità è il fondamento del concetto di “critica” dell’economia politica in Karl Marx.
Come allora riuscire a “percepire” che categorie come individuo, economia, modo di produzione di una società non sono entità che possono essere assunte come se fossero “naturali”, statici presupposti dell’attività (pratica o teorica che sia) della nostra vita quotidiana? Come recita invece il mantra della scienza economica mainstream, “lo chiede il mercato, l’economia”, senza appunto specificare che si tratta del modo di produzione capitalistico.
C’è bisogno di una teoria critica che non sia disgiunta da una pratica di trasformazione politica. Altrimenti, per Roberto Fineschi, il rischio è quello di ridurre la percezione e l’autopercezione del “posto che un individuo ha nel mondo” soltanto a un orientamento etico, valoriale – nel migliore dei casi quello di una “anima bella”, tacciabile di “buonismo”. Appunto perché il semplice sussistere delle condizioni materiali di esistenza, costitutive e vincolanti per l’attività individuale, continua a esprimere la subordinazione, e la subordinazione necessaria, al di là di un accesso più o meno privilegiato, degli individui a quelle stesse condizioni. Quel che bisogna fare, per Roberto Fineschi, è «scardinare» la riproduzione di quelle stesse condizioni materiali e sociali.
(5, continua)
6. Studiare Il capitale di Marx: per individuare nuovi soggetti antagonisti
Il fallimento pratico nell’individuazione di un soggetto antagonista al capitale è un motivo sufficiente per imputare una mancanza di coerenza alla teoria marxiana? Al contrario, per Roberto Fineschi, a partire proprio dalla formulazione matura, se pur incompiuta, della teoria de Il Capitale, è possibile individuare, anche nella frantumazione attuale degli attori sociali, delle potenziali figure di opposizione al sistema.
Si tratta, quindi, non di buttare via ma di tornare a studiare Il Capitale di Karl Marx. Perché il modo di produzione capitalistico, nel suo corso storico, ha sviluppato modalità di sussunzione del lavoro sotto il capitale – e soprattutto là dove si verifica una modalità di trasformazione e di controllo del processo lavorativo tale da renderlo “adeguato” alle esigenze specifiche del processo di valorizzazione – che non si limitano alla “figura”, storicamente legittima, della classe operaia di fabbrica.
Quali sono le modalità tipicamente capitalistiche teorizzate da Karl Marx che fanno della “partecipazione” del lavoratore all’attività lavorativa un momento, una condizione d’esistenza subordinata al capitale e al suo processo di valorizzazione? Marx le individua all’interno di tre figure storiche del processo lavorativo: la cooperazione, la manifattura e il sistema delle macchine e la grande industria, ma il mutamento di “forma” dell’attività lavorativa – il carattere cooperativo, parziale e di “appendice” del lavoratore – all’interno del processo lavorativo complessivo non si limita alle figure di questa dinamica storica.
È vero che nell’economia globalizzata di oggi «la gamma di soggetti antagonisti al capitale – la tipologia di lavoratori la cui funzionalità al processo di valorizzazione del capitale è effettiva – è così diversificata da rendere estremamente difficile il loro mutuo riconoscimento come parte di una stessa classe sociale». Per Roberto Fineschi, però proprio a partire da qui la teoria marxiana può tornare a fornire un contributo alla pratica, diventare uno strumento operativo di trasformazione politica. Ma da qui – dall’avere buone idee – è anche possibile sviluppare processi di aggregazione per l’emergere di un soggetto, di un’organizzazione politica?
(6, continua)
7. La conflittualità sociale: per cosa si scende in piazza, oggi?
Per cosa si scende, se si scende, in piazza, oggi? Senza esitazione, la risposta dei giovani a tavola è stata che le tematiche di lotta in atto sono molteplici, da quella ecologica a quella femminista e di genere, a quella contro il dominio razziale fino a quella antispecista, e negli ultimi tempi quella a sostegno del popolo palestinese contro l’oppressione coloniale e genocidaria del governo israeliano.
Queste nuove lotte culturali e sociali, spesso di tipo identitario, quale riflessione generano? È evidente l’attenzione all’intersezionalità delle lotte, la consapevolezza cioè che la dimensione dell’oppressione si intreccia in varie forme ai contesti di vita dei singoli individui, e che all’interno delle lotte identitarie il rischio dell’esclusione o della discriminazione è in conflitto con la rivendicazione di diritti potenzialmente universalistici. Ma quale tipo di critica pratica attraversa le diverse lotte sociali? In esse, la questione del dominio economico capitalista, in tutte le dimensioni in cui si afferma – da quella razziale o di genere a quella ambientale o per la giustizia sociale –, è riconoscibile come questione trasversale?
Insomma, è davvero possibile la rivendicazione di diritti universalistici senza che le lotte assumano un carattere anticapitalista? Il rischio, per Roberto Fischi, è quello di non individuare «la polarizzazione conflittuale che c’è nella società», dove la conflittualità sociale è funzionale, è espressione di una subordinazione necessaria alla riproduzione capitalistica della ricchezza. Per gran parte degli individui la limitazione della loro vita a un livello di sussistenza, e in misura crescente di povertà, è infatti l’espressione di un sistema di accesso alla ricchezza che sussiste come un potere a loro estraneo, indipendente da loro. Un fenomeno, questo, terribilmente reale in questa fase del modo di produzione capitalistico, in cui « il diffuso processo di automatizzazione rende una percentuale crescente della popolazione assolutamente inutile dal punto di vista del processo di valorizzazione del capitale». Una inutilità sociale di individui che sono perciò soggetti a tutte le forme di oppressione, di emarginazione possibili, quando non consegnati all’indifferenza più brutale, fino alla perdita di una garanzia all’esistenza stessa.
(7, continua)
8. La critica marxiana dell’ideologia della tecnica nell’epoca del capitale
Per Roberto Fineschi, il punto chiave della teoria di Karl Marx consiste in questo: che le forze produttive, forza lavoro e mezzi di produzione, cioè il contenuto materiale attraverso cui l’umanità si produce e si riproduce, entrano in una relazione e interazione, i rapporti di produzione, non in astratto, ma in una modalità storicamente determinata ed è in questo “intreccio”, che si configura la forma di movimento del processo reale della società. È un “interpretazione processuale” della teoria marxiana: «egli parte semplicemente dal presupposto che per filosofare bisogna prima aver mangiato e che quindi le configurazioni storiche per cui la riproduzione materiale si struttura pongono delle condizioni allo sviluppo delle ulteriori determinazioni sociali. È un rapporto che si articola attraverso numerose mediazioni senza che sia possibile stabilire una causazione diretta e immediata» (Roberto Fineschi, Marx).
Qual è allora la chiave di lettura interpretativa della questione tecnologia in Karl Marx – della combinazione sempre più crescente di tecnica e scienza, e del suo impatto sulla società? Il fatto che Karl Marx riconduca la tecnologia, la modulazione del suo stesso sviluppo, alla dinamica di valorizzazione del capitale equivale forse a una spiegazione deterministica (meccanicistica) della relazione tra processo tecnologico e trasformazione sociale? O è possibile una lettura più avvertita?
La riflessione marxiana sulla tecnologia è semmai, secondo Roberto Fineschi, una critica dell’ideologia borghese della tecnica – della tecnica come destino, come un’entità astratta, che domina l’attività umana – ed è espressamente riconducibile alla teoria marxiana del feticismo.
(8, continua)
9. Tardo-capitalismo e coscienza di classe, un concetto da ridefinire?
In questa fase del tardo-capitalismo, il concetto di classe è un concetto ancora utile a ridefinire una strategia di emancipazione nella gestione della convivenza umana? In Karl Marx il concetto serve a individuare i soggetti sociali in base alla loro funzionalità, al ruolo cioè che giocano nel processo di “creazione delle condizioni della loro vita sociale”, e nella prospettiva di un futuro in cui sia possibile accrescere la capacità di “assoggettare” quelle stesse condizioni a un maggiore controllo comune.
La questione, per Roberto Fineschi, del soggetto sociale «non è tanto quella di non esistere come membro funzionale di classe, la vera questione è come far acquisire al membro funzionale di classe una coscienza o autocoscienza della sua posizione», del suo essere funzionalmente strutturato in un sistema. Nella attuale dinamica capitalistica della riproduzione sociale, risulta però più difficile, a fronte di una “polverizzazione” della figura del lavoratore, riconoscere che la funzionalità di classe è strutturale, ed è inclusiva di molteplici concrezioni storiche del lavoro salariato. Ma, come in precedenza, la costruzione di una coscienza di classe è, e rimane, una sfida politica, per cui occorre avere «la pazienza del tempo».
C’è un’altra questione. Mentre nella fase progressiva del suo sviluppo “classico” occidentale, il modo di produzione capitalistico era in grado di garantire, pur dentro una elevata conflittualità sociale e forse grazia ad essa, livelli di benessere diffuso, e di elaborare una visione emancipativa (diritti universali borghesi) dell’essere umano, nella sua fase tarda questo processo è in crisi espansiva; e, al contrario, ora tende a sviluppare, e sempre più su scala mondiale, sistemi di rapina, di valorizzazione per rapina. Questa curvatura dispotica e brutale del processo di valorizzazione rende difficile raccordare rivendicazioni politiche e teorico-culturali in una generale prospettiva emancipativa. Quanto più infatti il dominio capitalistico si presenta come esercizio diretto della violenza dell’Occidente – e ormai non più soltanto al di fuori dei suoi territori ma al suo stesso interno –, le lotte di rivendicazione rischiano di assumere una forma di rifiuto del “primato” dell’Occidente e della sua tradizione culturale e politica. Un anti-occidentalismo che non necessariamente è in funzione anti-capitalistica.
Quale direzione prendere allora? «Sforzarsi – dice Roberto Fineschi – di trovare il raccordo tra una elaborazione della teoria marxiana rivisitata e la sua applicabilità», maturare una consapevolezza, anche in una chiave di responsabilità individuale, dei processi in cui siamo immersi, per promuovere forme di resistenza, lotte di emancipazione collettiva.
(9, fine)
10. Ripartire da Karl Marx? – Momento conviviale 1
L’educazione come processo di infantilizzazione del soggetto?
Roberto Fineschi: – Nella misura in cui queste persone [professionisti intellettuali] non sono più funzionalmente necessarie [al processo lavorativo] perché le macchine fanno da sé, cosa le produco a fare? Perché devo investire in una classe intellettuale che poi potenzialmente mi diventa antagonista, quando non ce n’è alcun bisogno – bisogno nel processo di valorizzazione del capitale? Allora che faccio trasformo l’Università in un bellissimo business. […]
Anna Delfina Arcostanzo: – Penso alle facoltà umanistiche che non sono nate per produrre tecnici, per saper produrre…
Roberto Fineschi: – Però devi educare dei cittadini.
Anna Delfina Arcostanzo: – Esatto, è quello che pensavo. In questo caso, il processo di infantilizzazione [del soggetto] e di educazione a un pensiero non critico, ma proprio di educazione all’assimilazione…
Roberto Fineschi: – Ma se io produco degli individui che coltivano l’universalità dell’humanitas come valore, ma questi mi faranno girare le scatole [risata] o staranno dalla mia parte?
Anna Delfina Arcostanzo: – Questo processo… può anche essere considerato come strumentale per neutralizzare il potenziale eversivo che ha il pensiero.
11. Ripartire da Karl Marx? – Momento conviviale 2
Per la 100esima cena di C O N D I R S I
Anna Delfina Arcostanzo: – La torta con la faccia di Marx è troppo bella!