L’esistenza di una rete di interdipendenza funzionale, sempre più estesa, tra gli individui nella nostra società complessa – come è emerso nella conversazione – si riflette paradossalmente nella percezione all’interno dell’esperienza individuale di un isolamento, quasi di un’opposizione tra l’individuo e il resto della società. La preminenza di uno standard, così uniformante, dell’individuo chiuso, isolato e competitivo che altro è se non una modalità di autocontrollo, fortemente interiorizzato, funzionale ad assicurare l’adattamento degli individui a un determinato equilibrio del legame sociale esistente, e a perpetuarne l’ordine?
Un altro «senso della interdipendenza», della reciprocità sociale è possibile? Quella ricerca di spazi di condivisione pubblica alternativi – di cui si è parlato nel corso della cena – che altro sono se non tentativi – di resistenza, in lotta – di mettere in opera un equilibrio diverso tra richieste della convivenza sociale ed istanze di bisogni personali? Un equilibrio, che sappia riscoprire «l’importanza della fede secolare (Martin Hägglund) le [cui] radici [stanno] nella finitezza delle nostre vite e nella dipendenza reciproca».
«Noi siamo liberi perché ci chiediamo se stiamo vivendo in modo giusto». Una libertà, che non è la libertà liberale, come assenza di vincoli, ma una libertà riflessiva. Una capacità di interrogarsi, che alcuni biologi e alcuni psicologi riconducono a una caratteristica evolutiva di specie dell’animale umano. Ma questa caratteristica di specie dipende da condizioni storiche, dal modo di produzione materiale di una determinata società.
«A che condizioni quindi – ci chiede Filippo Barbera – è possibile ricostruire il senso dell’interdipendenza? In un mondo in cui le diseguaglianze sono così acute e gli immaginari così individualizzati, in cui l’altro o non esiste o è solo fungibile, a questa domanda è difficile rispondere». Una via possibile per tornare a interrogarsi su questo tema è la costruzione di “rituali dell’interazione”, della dipendenza reciproca – «regini di interazione dove fare esperienza della necessità dell’altro, come nella danza totemica, dove c’è un centro, un comune focus di attenzione, e dei corpi che in modo sincronizzato si muovono nello stesso spazio». Come, ad esempio, cucinare insieme.
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