Nella nostra società, il concetto di “individuo” è l’immagine pervasiva con sui si fa riferimento all’essere umano. Ma da dove sorge l’idea dell’individuo come un’entità che può esistere indipendentemente dal suo contesto relazionale, dalla società? Quando invece, in una società di mercato, è vero il contrario: la sua esistenza è possibile solo a partire da un “contesto di interdipendenza” globale – dove «lo scambio generale delle attività e dei prodotti, [che] è diventato condizione di vita per ogni singolo individuo» e al tempo stesso, «la connessione che unisce l’un l’altro si manifesta a loro stessi estranea, indipendente, come una cosa»» (Karl Marx)
Perché, pur nell’evidente paradosso, l’individualità, questa forma di soggettività moderna dotata di personalità, e cioè portatrice nella sua attività privata dei valori di uguaglianza e libertà, si configura come una dotazione di “natura”, come una presunta natura umana “al di fuori dalla storia”?
L’individualismo, l’illusione dell’individuo di esistere come soggetto autonomo, è per Karl Marx il risultato di una pratica sociale generale di massa, una “parvenza fenomenica”, è cioè il modo in cui i soggetti del processo di una «universale scambiabilità» si relazionano alla superficie della società. Il problema è che così ne va della comprensione del nostro stare al mondo. Il senso stesso del legame sociale che tiene insieme individuo e società risulta essere di difficile comprensione.
È possibile allora sviluppare una diversa autocoscienza dell’essere umano? In che misura la partecipazione al processo lavorativo, che sta alla base della riproduzione sociale, può dare forma a una soggettualità alternativa? Nell’attuale fase di crisi del processo di valorizzazione capitalistico, che Roberto Fineschi chiama “capitalismo crepuscolare”, quale torsione ideologica subisce la costruzione del concetto di persona, e la sua stessa universalità? E quale ulteriore evoluzione fenomenica presenta oggi l’individualismo?
(3, continua)