“Percepire” la non-naturalità dell’economia capitalistica, un problema

«Tutta la scienza sarebbe superflua se la forma fenomenica e l’essenza delle cose coincidessero in maniera immediata» (Karl Marx). Nella prospettiva marxiana, infatti, la scienza, per essere davvero tale, deve avere un carattere anti-empirico e anti-naturalistico, essere una spiegazione di tipo processuale della connessione interna dei rapporti che appaiono alla superficie della società. Il punto chiave è la storicità delle categorie che servono a darne una spiegazione: la realtà sociale, nel suo essere così com’è, è sempre il risultato di uno specifico processo genetico e riproduttivo, e svelarne la storicità, la processualità è il fondamento del concetto di “critica” dell’economia politica in Karl Marx.

Come allora riuscire a “percepire” che categorie come individuo, economia, modo di produzione di una società non sono entità che possono essere assunte come se fossero “naturali”, statici presupposti dell’attività (pratica o teorica che sia) della nostra vita quotidiana? Come recita invece il mantra della scienza economica mainstream, “lo chiede il mercato, l’economia”, senza appunto specificare che si tratta del modo di produzione capitalistico.

C’è bisogno di una teoria critica che non sia disgiunta da una pratica di trasformazione politica. Altrimenti, per Roberto Fineschi, il rischio è quello di ridurre la percezione e l’autopercezione del “posto che un individuo ha nel mondo” soltanto a un orientamento etico, valoriale – nel migliore dei casi quello di una “anima bella”, tacciabile di  “buonismo”. Appunto perché il semplice sussistere delle condizioni materiali di esistenza, costitutive e vincolanti per l’attività individuale, continua a esprimere la subordinazione, e la subordi­nazione necessaria, al di là di un accesso più o meno privilegiato, degli individui a quelle stesse condizioni. Quel che bisogna fare, per Roberto Fineschi, è «scardinare» la riproduzione di quelle stesse condizioni materiali e sociali.

(5, continua)

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