Come si costruisce la nostra soggettività, e la nostra stessa evoluzione? Quanto è influenzata dai condizionamenti sociali? E come contribuiamo a plasmare le stesse rappresentazioni collettive che ricadono sulla nostra identità?
Quello di «antropotecnica» è un concetto introdotto da Peter Sloterdijk, capace di mettere in luce la comune natura di quelle che Michel Foucault ha distinto in pratiche di soggettivazione e dispositivi di assoggettamento: discipline, abitudini ed esercizi, individuali o collettivi, mediante cui l’uomo viene prodotto o costruisce sé stesso.
All’attenzione sulla costruzione di sé come impegno etico è stato spesso rimproverato il rischio del ripiegamento sull’individuo e della perdita di una prospettiva politica. Inoltre, le forme di antropotecnica che affollano sia la cultura di massa contemporanea quanto le nicchie culturali sembrano collegate in modo sempre più indistinguibile al dispositivo neoliberale incentrato sull’esortazione a diventare imprenditori di sé stessi e sull’imperativo al successo.
Il discorso dell’antropotecnica richiama inoltre l’importanza delle narrazioni e della costruzione di identità negli spazi sociali e nelle organizzazioni in cui trascorriamo la maggior parte della nostra esistenza lavorativa e non – tra cui le reti digitali. Nella convinzione che esista un rapporto biunivoco – un “circolo antropotecnico” – tra modalità dello stare assieme e produzione dell’uomo o soggettivazione.
A interrogarsi con noi e ad aiutarci a comprendere cosa comporta prendere in mano la costruzione sociale di sé in quelli che Slavoj Zizek definisce “tempi interessanti”, caratterizzati da cambiamenti di scenario e perdita di punti di riferimento, ci sarà Dario Consoli.
1. Antropotecnica, come l’essere umano si costruisce?
A partire da Peter Sloterdijk, Dario Consoli ci propone il concetto di antropotecnica, per fornirci una riflessione sul modo in cui noi costruiamo noi stessi.
Una riflessione antropologica, dunque, necessaria per procedere a una ri-descrizione della natura umana, a partire dalla sua fondamentale condizione di coesistenza, di legame con le forme della vita e della vita sociale. Una riflessione che quindi parla il linguaggio della condivisione, della relazionalità, e delle pratiche e delle tecniche che ne hanno reso possibile la costruzione nel corso del tempo.
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2. Excursus: sul potere di cambiare la società, oggi
Qual è il potere – l’influenza – che la società esercita sulla nostra vita? Fino a che punto è possibile stabilire da sé stessi cosa vale la pena vivere, come orientare la nostra vita e definire il nostro posto nel mondo? Insomma, da che dipende la costruzione di sé?
In un gioco di influenza reciproca, di oggettivazione e assoggettamento, come è possibile per l’individuo esercitare il potere di creare cambiamento? Soprattutto, se la società così com’è, non va bene.
Queste le domande proposte, quasi a inizio cena, da Dario Consoli.
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3. Sfere, gli spazi che abitiamo… da progettare
L’immagine-concetto di «sfera» che, nella proposta di Peter Sloterdijk, è una declinazione spaziale della soggettività, è per Dario Consoli un concetto gravido di conseguenze. Anzitutto, ci aiuta a spostare l’attenzione sugli spazi creati e abitati dall’uomo, un concetto cioè che può raccontare molto della vicenda umana.
Dallo spazio più intimo a quello più globale, da quello più chiuso a quello più aperto, ogni spazio, e in particolare lo spazio sociale,influenza la costruzione della nostra vita. E allora il problema è di provare a capire come abbiamo fino ad ora costruito gli spazi viviamo, e di cui portiamo la responsabilità.
Oggi, poi, occorre porsi la domanda: come possiamo progettare spazi di convivenza? E come possiamo gestire il processo di condivisione della nostra natura umana?
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4. Spazi, confini e sistemi globali, tra reale e virtuale
Cos’è spazio? E lo spazio che viviamo? Lo spazio sociale della vita umana, con i suoi confini, è una costruzione umana, che a sua volta modellaprofondamente il modo di esseredella nostraumanità.
E allora cos’è cambiato nel corso del tempo?Come la stessa natura umana ne è stata ridefinita? Questa la domandache si è posta aquesto punto della cena.
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5. La sfera globale e la storia della globalizzazione
C’è una storia della globalizzazione. E il suo carattere essenziale è la consapevolezza del globale, la consapevolezza che gli individui hanno della situazione globale, del fatto di trovarsi tutti sulla stessa sfera, il globoterrestre.
Questa coscienza di far parte di qualcosa di più grande non è nuova. Erala comprensione del mondo come «kósmos»dellametafisicae dellageometriagreca, quella dell’esplorazione marittima e commerciale della modernità e infine quella dell’interdipendenzatecnologica e comunicativa della società contemporanea.
Lo spazio identitario entrocui oggi la nostra esistenzasi costruisce – il processo di individualizzazione, dell’«uomo chiuso»che conduce un’esistenza come a sé stante, separato da un precedente kósmosolistico, integrato in un tutto –è anch’esso un esito del processo in atto dei sistemi globali, e tuttavia non sembra che un talespazio corrisponda al globale come tale.
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6. Dal corpo alle sfere: bolle, globi e schiume
Qual è il primo luogo, il primo spazioche impariamo a vivere?
L’utero è questo ambiente. È la prima sfera intima, la prima bolla, quella della costruzione corporea di sé, un’esperienza partecipata e partecipativa nel contatto con l’altro. E come tale, di conseguenza, è il modello di base dell’esperienza di sé.
Che ne è di questa esperienza di sé in età adulta? E nella consapevolezza del nostro stare al mondo? Come la scoperta della spazialità del nostro vivere può cambiare la comprensione dell’esperienza di sé?
La formazione dell’esperienza di sé èuna vicenda che attraversa la spazialità, la dimensione fisica e simbolica dello spazio che generiamoe che ci genera, entro cui impariamo vivere, e a sopravvivere. È la molteplicità degli spazi sociali, più o meno estesi, e a dimensione globale. Ma è anche quella di uno spazio reso saturo dall’interdipendenza comunicativa e digitale, in cui la solitudine di ognuno coesiste in una prossimità senza esito con quella degli altri, dei molti.
Al riguardo, Dario Consoli ci ha offerto alcune metafore pertinenti. Immagini-concetti elaborate da Peter Sloterdijk che ci aiutano a cogliere alcune trasformazioni dell’esperienza di sé, oggi.
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7. La cura di sé e il cambiamento del reale
Come avviene allora la costruzione di sé? La nozione di antropotecnica ci dice che è il risultato di una pratica che si compie in uno spazio di esistenza umana la cui costruzione dipende dal fare dell’uomo – il nostro fare – e, al tempo stesso, è uno spazio da cui viene a dipendere il farsi dell’uomo stesso – il farsi di ciò che siamo.
Ciascuno di noi, dice Dario Consoli, esiste in uno «spazio di azione ricurvo». Della qualità di quello spazio, di qualunque spazio, in forza del nostro fare, ne portiamo la responsabilità.
E, di certo, oggi diviene una questione di esercizio. Un esercizio che significa, quando si fa attività consapevole, cura di sé, un farsi carico di sé stessi.
Ma in quali spazi d’esistenza è possibile applicare il cambiamento? Dare cioè vita a uno spazio di sperimentazione per la creatività umana? Una creatività – oggi discesa dal cielo della teoria, della filosofia, al terreno della comunicazione commerciale, del marketing – capace di produrre un cambiamento della società, di misurarsi con la catastrofe, che è alle porte, della globalizzazione.
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