Come avviene allora la costruzione di sé? La nozione di antropotecnica ci dice che è il risultato di una pratica che si compie in uno spazio di esistenza umana la cui costruzione dipende dal fare dell’uomo – il nostro fare – e, al tempo stesso, è uno spazio da cui viene a dipendere il farsi dell’uomo stesso – il farsi di ciò che siamo.
Ciascuno di noi, dice Dario Consoli, esiste in uno «spazio di azione ricurvo». Della qualità di quello spazio, di qualunque spazio, in forza del nostro fare, ne portiamo la responsabilità.
E, di certo, oggi diviene una questione di esercizio. Un esercizio che significa, quando si fa attività consapevole, cura di sé, un farsi carico di sé stessi.
Ma in quali spazi d’esistenza è possibile applicare il cambiamento? Dare cioè vita a uno spazio di sperimentazione per la creatività umana? Una creatività – oggi discesa dal cielo della teoria, della filosofia, al terreno della comunicazione commerciale, del marketing – capace di produrre un cambiamento della società, di misurarsi con la catastrofe, che è alle porte, della globalizzazione.
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