L’immagine individuale della persona, l’idea di individuo, il cui significato etimologico è, appunto, non scomponibile, è una rarità antropologica, anzi una stranezza. L’individualismo è tipico proprio della nostra civiltà occidentale, soprattutto, nel suo sviluppo moderno e capitalistico. Francesco Remotti ne percorre in breve l’affermazione culturale fin dalle sue origini – nella filosofia di Platone – e, attraverso la filosofia cristiana medioevale,fino al pensiero moderno.
La riflessione antropologia sulla persona ci offre invece, a partire dallo studio di altre società, come quella della popolazione dei Kanak della Nuova Caledonia, una concezione dell’essere umano “dividuale”, esito cioè di un processo, una composizione, che è data da un fascio organico di relazioni, da un insieme di relazioni con altri esseri, di natura umana e non umana. È una concezione relazionale e processuale della persona.
La proposta di Francesco Remotti è allora sostituire il concetto antropologico di «dividuo» con il concetto di «con-dividuo».
Noi non abbiamo un’identità, e neppure un’identità al plurale. Noi siamo dei «condividui», dentro di noi convivono più parti, a più dimensioni. Il problema è allora la «convivenza» di queste diverse realtà, il mantenere «un po’» di coerenza nel tenerle insieme. Una cosa che non va da sé.
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