In un’Europa, politica e sociale, frammentata, l’eredità illuminista – in quella declinazione radicale materialistica, che Giovanni Leghissa auspica come base di un comune progetto culturale europeo – come può diventare senso comune? E, soprattutto, attraverso quali pratiche di condivisione e di convivenza?
Nell’Europa del ‘700, l’attività di studio – una disciplina di solitudine – fu alla base della formazione di una élite intellettuale che nella cultura del libro aveva il suo strumento di emancipazione e di diffusione dei valori di uguaglianza, libertà e solidarietà. Di tale visione illuminista, il «salotto culturale», aristocratico, oltre al «caffè letterario», fu il luogo di elezione.
Oggi, la competenza cognitiva, intellettuale, che l’isolamento dello studio richiede, non sembra tradursi in una diffusa pratica di emancipazione degli individui all’interno della società. Anzi, più spesso si rivela un esercizio di assoggettamento elevato e costrittivo. L’educazione, che relega la vita mentale allo spazio solitario del libro, forse, non basta più.
L’educazione deve aprirsi ad altre dimensioni dell’esperienza. Ad altri spazi di socialità, ad altre pratiche di incontro, più conviviali, che sono da inventare.
(5, continua)https://youtu.be/mrAYjQroj-4
Video appartenente alla cena:
Cena Nº57
Per la critica della ragione europea. Riflessioni sulla spiritualità illuminista
con Giovanni Leghissa