«Dio è morto, Marx è morto… e anch’io non mi sento tanto bene»E se anche noi non stiamo troppo bene. Così Woody Allen, in Io e Annie.
E, in effetti, non stiamo così bene. Come elevarsi allora dalla vita quotidiana a una vita… – come chiamarla? – …più alta? Più piena di senso? Più riuscita? Più appagata? O che altro?
È la sfida del nichilismo. Della messa a morte di Dio, espressione tragica della nostra appartenenza all’età moderna. E, come ci ricorda Friedrich Nietzsche: «Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!» (Vedere testo completo in video: 1. Dalla morte di dio alla potenza della tecnica)
Una prospettiva auspicabile. Ma come allora aprire il presente a nuove possibilità di senso e di pensiero?
Ad orientarci, nel definire qualche punto di riferimento filosofico, ci sarà Concetto Rossello.
1. Dalla morte di dio alla potenza della tecnica
Per iniziare.
Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque…
Da La gaia scienza di F. Nietzsche
Ma noi no. Siamo andati avanti a parlare.
2. La morte di dio un’eredità difficile
C’è una difficoltà evidente.
Non è facile capire quale sia la forma di esistenza che più si accorda con una verità che si afferma in una continua interrogazione su sé stessa, secondo il principio dinamico di un continuo superamento del limite (volontà di potenza).
Un’esistenza che, soggetta alla tecnica, si esercita come dominio sulla realtà? Oppure, un’esistenza che, come un bambino, ha ancora bisogno della scoperta della realtà? E del godimento più pieno della vita?
Qual è il legame tra la ricerca della verità e l’estetica dell’esistenza? In cosa consiste, in definitiva, il potere (la possibilità) di essere umani?
Il confronto a tavola è stato vivace.
(2, continua)
3. Ma quale dio è morto?
Un po’ di metafisica. A tavola e sulla tavola, e a partire da un bicchiere.
Che un bicchiere sia un bicchiere, e non possa essere altro, non è una cosa così scontata. Al contrario. Pare proprio che si possa dire che un bicchiere è anche qualcos’altro. O, almeno, questo è ciò di cui è capace un essere umano: la possibilità di essere ciò che sceglie o progetta di essere. Anche nei confronti della realtà.
Questo potere di svelare il possibile fa dell’uomo ciò che è?
Ma se poi questo potere si compie solo come volontà di dominio? Sulla natura, sulla realtà? Che poi è l’essenza della tecnica. E l’esperienza di dio – non il dio dei filosofi – è la sola che può salvarci da questa dismisura della tecnica?
In questo passaggio pare starci tutta la storia della metafisica occidentale.
In gioco, c’è la questione della libertà umana, la sua possibilità di essere.
Per capirci qualcosa di più, basta ascoltare il dibattito che ne è seguito.
(3, continua)
4. Ma dio ha la barba?
Siamo costruttori di miti, di “favole”, di storie. Ma che cos’è una storia?
Una storia è un piccolo nodo o complesso di quella specie di connessione che chiamiamo pertinenza. […] a mio avviso un qualunque A è pertinente a un qualunque B se A e B sono entrambi parti o componenti della stessa ‘storia’. […] Che cos’è una storia che possa connettere gli A e i B, sue parti? ed è vero che il fatto generale che le parti sono connesse in questo modo sta alla radice stessa di ciò che è l’esser vivi? Vi propongo la nozione di contesto, di struttura nel tempo.
(G. Bateson, Mente e Natura. Un’unità necessaria)
Forse, una storia è così com’è – con la barba, per così dire – a motivo di ciò per cui essa serve, al nostro esse vivi. Ed è così che noi siamo capaci di comprendere ciò che vale la pena vivere. Nel tempo.
(4, fine)