La partecipazione di uomini e donne all’attuale profonda trasformazione della società – l’età della quarta rivoluzione industriale (4IR) – non è eguale. Il divario di genere nell’accesso alle opportunità economiche (retributive e professionali) e sociali, che lo stesso cambiamento in atto è in grado di generare, è oggi un problema critico fondamentale. È un problema globale e, in Italia, lo è in modo grave.
La piena inclusione delle donne nell’economia e nella società può cambiare lo scenario rispetto ai grandi problemi globali che stiamo affrontando? E tre sono le grandi sfide: il cambiamento climatico, la globalizzazione e le diseguaglianze – sfide che riguardano tutti ma che hanno un impatto specifico sulle donne.
Una prospettiva di genere offre un’alternativa al modello dominante di economia, quello neoclassico o neoliberale, o più comunemente capitalistico?
Forse è utile saperne di più, perché ne va della stessa qualità della nostra vita quotidiana.
Ad aiutarci a capirne qualcosa ci sarà Giandomenica Becchio, autrice di The History of Feminist and Gender Economics, London, New York, 2019.
1. Che cos’è l’economia di genere – le sue origini
Che cos’è l’economia di genere? Per Giandomenica Becchio la risposta è semplice: è quel che pensano gli economisti della diseguaglianza di genere.
L’affermarsi di un’economia di genere, come scienza sociale, ha una sua storia. Una storia le cui radici affondano nell’Europa dell’800 con il sorgere della “questione femminile”.
Ma che cosa si debba intendere per “economia” è già un problema.
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2. Che cos’è l’economia di genere – le misure di un divario
La scienza economica misura. L’’economia di genere è la misurazione di una disuguaglianza, di tre grandi divari di genere: quello dell’accesso al lavoro e il grado di promozione nel lavoro, quello salariale e quello imprenditoriale.
Ma il divario di genere non è solo una questione di numeri. E non è un problema solo economico.
È l’intera nostra società – e una cultura e una mentalità – a essere strutturata sul divario di genere. E a perpetuare così una situazione di dominio.
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3. Che cos’è l’economia di genere – una questione di termini e di stereotipi
Perché parlare di «economia di genere» (o gender) e non di «economia femminista»?
Le due definizioni, in effetti, non coincidono.
Ma qual è l’apporto della filosofia femminista, negli anni ‘70 e ’80, all’economia di genere?
La filosofia femminista ha contribuito a riformulare il paradigma della razionalità stessa – importante in economia in quanto «l’economia è la “scienza” – come dice Giandomenica Becchio – della scelta in presenza di una situazione di scarsità di mezzi». Come vi ha contribuito? Nel teorizzare il superamento di uno stereotipo fondamentale, interno alla civiltà occidentale: quello del dualismo in base a cui la razionalità è un’attribuzione solo “maschile” e l’emotività un’espressione solo “femminile” – una questione culturale che perpetua il sistema di dominio della società patriarcale, e che è alla base del grande divario di genere (gender gap) in economia.
Ma l’estensione effettiva di questa critica alla società attuale, per Giandomenica Becchio, richiede una vera e propria rivoluzione culturale, a partire dall’educazione. E quali allora potrebbero essere le conseguenze in economia?
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4. L’immaginario di genere, una storia di rimozioni
Una riflessione sull’immaginario di genere, dalla mitologia antica al tema del potere nelle società gerarchiche: una storia di rimozioni, una damnatio memoriae del genere.
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5. La prospettiva di genere offre un’alternativa all’economia capitalista?
C’è un’alternativa all’economia capitalistica? L’economia di genere che contiene, in prospettiva, la riforma radicale della società patriarcale comporta anche una revoca del sistema economico nato con la prima rivoluzione industriale?
Per l’economia di genere la questione della libertà individuale è fondamentale. Ma è possibile concepire la libertà individuale oltre la visione competitiva del sistema di produzione capitalistico?
Se l’alternativa del socialismo reale è fallita, il capitalismo – nella sua natura di rivoluzione permanente delle condizioni della vita sociale – non sembra godere di grande salute. Una lotta sul tema della disparità di genere nell’economia e nella società può cambiare lo scenario rispetto ai grandi problemi globali che stiamo affrontando? Come attrezzarci di fronte alle grandi sfide del cambiamento climatico, della globalizzazione finanziaria e del crescente divario di ricchezza tra una élite globale e il resto della popolazione mondiale?
Che il sistema capitalistico, le cui politiche di sviluppo economico-finanziario sono più spesso distruttive, anzi catastrofiche, sul piano della vita sociale, non funzioni più nell’interesse del bene comune, sembra essere di un’evidenza quotidiana. È sufficiente ritenere di poterlo riportare sotto controllo?
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6. Applicare l’approccio economico costo-beneficio alla vita quotidiana
Perché non provare a estendere l’insegnamento d Jeremy Bentham, filosofo inglese, ideatore dell’utilitarismo, ai problemi della nostra vita quotidiana?
Un esperimento, su proposta di Giandomenica Becchio, un approccio economico alla vita individuale. Si tratta di applicare l’«algebra morale» dell’utilità di Jeremy Bentham, un calcolo che misura il vantaggio o lo svantaggio apportato da una determinata scelta – come, ed esempio, lasciare o meno un/a fidanzato/a. È un calcolo edonistico, per cui l’utilità è una grandezza oggettiva, quantificabile e misurabile, è il calcolo della felicità.
Per ogni scelta è possibile fare un elenco di valori positivi (piacere/beneficio) e di valori negativi (dolore/costo) da assegnare alle sue possibili conseguenze; la somma algebrica (+/–), la differenza tra l’utilità positiva e negativa, consente di definire l’utilità individuale netta di un’azione.
Una ricetta per la felicità, quindi, da produrre nella nostra vita quotidiana. Buon esercizio!
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