In arrivo / Cena Nº101 - Martedì 7 Gennaio 2025

La bellezza salverà il mondo?

con Roberto Imperiale

Una domanda, questa, che richiama alla memoria L’idiota di Fëdor Dostoevskij. Ma se fosse solo il pretesto di chi vuole – o crede di poter – cercare altre risposte da quelle del romanziere russo, o almeno da quelle più comunemente ritenute evidenti o attendibili? In poche parole, non si vuole parlare qui né degli aspetti salvifici legati all’esperienza religiosa né di quelli legati all’estetica o alla idealizzazione della bellezza stessa come atto puramente contemplativo e in qualche modo esterno al sé, come se fosse “una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare.” E nemmeno si vuole parlare della sofferenza dei (di alcuni) romantici (Lord Byron, Manfred) per i quali:

“Sapere è patire. Sventura
è la scienza. Coloro che più sanno
più amaramente devono
piangere il vero fato:
l’albero della scienza non fu mai
l’albero della vita”.

A quale bellezza si vuole alludere allora qui? A quella dell’esperienza impetuosa, drammatica, eroica del piacere che “necessariamente” prova chi conosce o “chi desidera conoscere” (secondo l’etimo greco è il μαθηματικός, mathematikós), e indaga per trovare risposte che diano senso e ampiezza alle necessarie azioni di trasformazione della vita e del mondo; o, ancora, di chi provoca il mondo stesso, perfino infrangendone le leggi, come fecero Adamo, Prometeo (che a Leopardi non piaceva) e Ulisse.

Insieme a Roberto Imperiale* proveremo a capire come l’operazione di svelamento della “natura” di questo sasso che vaga senza meta nello spazio e il tentativo di “riempire il vuoto che viene dalle stelle”, e che è la stessa cosa di ciò che si pone davanti come un ostacolo (o in vacuum, da colmare a sua volta e che secondo l’etimo, ancora greco, è il “problema”), si manifestano nella creazione di quei mille e mille linguaggi che garantiscano la messinscena dell’unica intelligenza che abbiamo e dell’infinita, di per sé necessaria e inconsapevole, bellezza del mondo, da serbare secondo l’antico patto.

Cosa sappiamo dire di fronte alle 7 immagini della copertina?

* Roberto Imperiale, laureato in matematica, si è occupato di educazione insegnando nel mondo della scuola e continua a occuparmi di scuola e formazione, fra le altre cose come socio fondatore del GRiMeD (Gruppo di Ricerca Matematica e Difficoltà), come direttore di corsi di formazione per insegnanti e come docente a contratto dell’Università di Torino.

1. Quale bellezza per non precipitare nella crisi generale dei valori oggi?

Perché parlare di bellezza? E perché mai affidare alla bellezza – la cui espressione estetica è più spesso consegnata a immagini di natura effimera, come il fiore che appassisce – addirittura la salvezza del mondo? Di quale bellezza allora parlare?

Dice Roberto Imperiale: «Non è il mondo bello, [la bellezza] è tutto ciò che accade quando tu cerchi di indagare il mondo». L’origine delle pettole pugliesi ne è un esempio. È la ricerca di una soluzione a un problema (dal greco próblema, ciò che è posto davanti come un ostacolo), a una domanda di cui è portatore, per eccellenza, il matematico, cioè chi, secondo l’etimo greco di mathematikós, conosce o “desidera conoscere”.

Bisogna ripartire dagli antichi per i quali la bellezza sta nell’indagine sulla natura del mondo. “Trovare la strada”, come l’Ulisse dantesco, non già l’applicazione di una formula, è l’atto di bellezza che potrebbe salvarci dal precipitare fino in fondo nella crisi generale dei valori in cui siamo immersi.

(1, continua)

2. Il problema della misura: trovare la bellezza nella straordinaria incertezza del mondo

L’aritmetica pitagorica ci consegna una visione del mondo – di ciò che esiste o, meglio, del principio stesso di ciò che esiste – intrinsecamente positiva, in quanto fondata sui numeri naturali, cioè sui “numeri interi positivi”. La sacra tetraktys pitagorica (il numero 10 raffigurato in una disposizione a triangolo equilatero di 1, 2, 3 e 4) è l’espressione simbolica di questa visione della realtà.

Il nostro sguardo – la nostra teoria – sulla realtà ha dunque a che fare con quello che c’è? Con quello che c’è nella nostra sensazione e percezione del mondo. Cosa succede però nel passaggio all’elaborazione (neuronale) della realtà nella nostra testa? Una buona causa, l’esistenza di questo problema, per cui si è spesa, e si spende, l’intera storia della filosofia.

Il compito di una teoria non è infatti solo quello di dire le cose come stanno, ma anche di dimostrare che stanno così. E questo desiderio di “indagine” è proprio ciò a cui si dedica la matematica pitagorica. La dimostrazione è la procedura in cui consiste il teorema per cui Pitagora è ricordato, e che varrà ancor più per la geometria di Euclide. Ma quale conseguenza ha avuto, e ancora oggi ha, la scoperta di Ippaso di Metaponto (530 a.C. circa – 450 a.C. circa) delle grandezze incommensurabili, una sorta di entità inconcepibile, indicibile, irrazionale (in greco alogon), tra il lato e la diagonale di un quadrato, sulla nostra comprensione della realtà? Una scoperta che risultò fatale per la vita di Ippaso.

Questa scoperta introduce uno scarto, una differenza: ciò che si sta cercando tramite il calcolo è qualcosa che sfugge al calcolo stesso, qualcosa di non numerabile, quale era per i Greci una grandezza incommensurabile. Questa strana entità che è priva di riferimento oggettuale, positivo, è il segno di un’incertezza radicale del nostro “confrontarci” con la realtà, il segno di un’implicazione dinamica del nostro stare al mondo – che vive nel presente di un passato e un futuro – con il mondo stesso.

Per Roberto Imperiale allora «il problema della misura è il problema che rende possibile trovare la bellezza nella straordinaria incertezza del mondo». E per capirlo basta prendere in mano un trifoglio. «La bellezza sta in questa drammatica esplorazione del mondo». Almeno, per riuscire a capire il mondo, ancor prima di poterlo cambiare.

(2, continua)

3. La matematica del capitalismo: la ratio del calcolo vs il desiderio di sapere

La matematica continua a presentarsi come una scienza che consiste in ingegnose operazioni con regole e formule da apprendere al solo scopo di dimostrare di saperne eseguire in maniera corretta il calcolo. Una disciplina che, così come è insegnata, risulta in odio a gran parte degli studenti.

Al di là della difficoltà di capire di quale realtà ci parla la matematica, la nozione di rapporto o di proporzione in matematica trova con tutta evidenza un’applicazione al mondo reale che è impossibile ignorare, perché finisce per dettare in modo inesorabile le condizioni della nostraesistenza. È la sua applicazione all’economia moderna.

Leonardo Pisano detto Fibonacci, con il suo Liber abbaci del 1202, nell’introdurre sulla scena del mondo occidentale, ancora attardato nell’antico modo di calcolare con l’uso dell’abaco, i numeri di origine indo-araba, rese possibile nel Duecento la nascita della nuova economia capitalisticabasata su misure, calcoli e regole, da allora condivise e diffuse in tutto il mondo.

Ma la comprensione del rapporto tra matematica e realtà è davvero riducibile alla sola ratio del calcolo, così dominante nell’analisi economica? O non si tratta invece, nel riprendere l‘etimologia della parola “matematica” (dal gr. máthema, traducibile con i termini “scienza”, “conoscenza” o “apprendimento”, che, a sua volta, deriva dal verbo manthànȏ, “incline ad apprendere”), di considerare la matematica come qualcosa che ci impegna a ri-definire la realtà, a ricercare incessantemente un senso di proporzione (analoghìa) nella sua stessa costruzione?

Per Roberto Imperiale, una “riappropriazione” della bellezza del mondo e dei linguaggi che la esprimono è possibile a condizione di ripensare il senso della conoscenza nei termini in cui il poeta Novalis scrive a proposito delle formule matematiche: le formule vivono di una vita propria ed è l’analizzarle che consente a noi di capire “la strana relazione tra le cose”, in un’interrotta indagine del mondo.

(3, continua)

4. Musica e matematica: la bellezza come armonia e il tempo dell’uomo

La civiltà musicale dell’Occidente comincia nella bottega di un fabbro – così, almeno, stando alla leggenda – con la scoperta pitagorica dei suoni della scala diatonica e degli intervalli, espressi da rapporti tra numeri naturali, che governano le regole di un’acustica musicale basata sulle forme della consonanza. È così che Pitagora consegna al nostro mondo occidentale una visione della bellezza come armonia.

Un uguale scenario governa l’apprendimento? La capacità del cervello di modellarsi sull’esperienza, la plasticità della sua struttura, implica il nutrimento della “natura” del suono per poter “accordare” in una complessa relazione produttiva e creativa parola e pensiero, e per far fronte a quella straordinaria evoluzione intellettuale che è l’invenzione della scrittura? Cosa accade infatti quando il cervello non riesce a imparare a leggere, è cioè affetto da quella disabilità di lettura che chiamiamo dislessia?

I risultati delle recenti ricerche delle neuroscienze dimostrano, per Roberto Imperiale, che la consapevolezza fonetica, dell’aspetto fonologico del linguaggio, è in gran parte dipendente dalla sensibilità al ritmo naturale della lingua, fatto che è determinato da come i suoni delle parole variano in coincidenza con l’accentazione e il ‘ritmo’ del discorso. E quella composizione in una sequenza di suoni e pause organizzati temporalmente – la maestria di Dante nella Commedia è al riguardo esemplare – che è  il ‘ritmo’ deve possedere una struttura temporale – che permetta di anticipare, di predire la successione degli eventi o un evento futuro – come appunto insegna l’interpretazione di uno spartito musicale.

Non tutto, o non sempre, però, neppure l’intervallo dei suoni, risponde esattamente a un criterio di sincronia, di piena coincidenza. Il passaggio dalla approssimazione alla precisione comporta la maturazione di una consapevolezza, come per la comprensione di altri artefatti della cultura umana, che richiede il tempo dell’intervento umano, il tempo dell’uomo – un’azione di “temperamento” (giusta misura di cose unite insieme) come per l’accordo degli strumenti musicali.

(4, continua)

5. Un problema pedagogico: educare alla pluralità, dalla bellezza alle bellezze

L’articolo ‘la’ che si associa alla parola bellezza non esclude la varietà soggettiva, intensamente emozionale, dell’esperienza trasformativa di ciò che è bello, per cui non ci resta che esclamare, Che bello!; ma forse impedisce di scorgere che l’indagine appassionata per la bellezza conduce alla conoscenza di una molteplicità di bellezze. E al riguardo, basta esplorare le “infinite” sorprese che la sequenza di Fibonacci disvela: un numero collega quella sequenza infinita di numeri, è il “numero aureo”, detto anche “sezione aurea”, un numero irrazionale (alogon), il cui valore approssimato alla terza cifra decimale è 1,618.

Educare alle bellezze significa quindi, per Roberto Imperiale, attivare un processo “integrante” di ricerca di senso, di integrazione dei linguaggi, al di là della loro separatezza in discipline del sapere, attraverso cui assume forma quell’«unica intelligenza» che dal matematico al poeta è implicata nell’indagine del mondo.

Ed è per questo che l’esperienza cui si attribuisce la caratteristica della “bellezza” è un’esperienza «comunicabile»; e non si risolve già in un’acquisizione solo soggettiva ma in una sorta di trasformazione oggettiva, le cui innumerevoli “espressioni” – come le tessere di un puzzle – vanno a comporre quella pienezza che si rivolge all’«uomo completo», quella completezza che dovrebbe essere la finalità stessa dell’educazione. È bello ciò che è integrante, aperto alle “bellezze”, della cui “invenzione” o “creazione” ognuno è portatore.

A sostegno di questa tesi pedagogica forse basta una storia, e ciò che da essa ne deriva, quella della scoperta della “successione numerica” grazie a cui ricordiamo Leonardo Pisano.

(5, continua)

6. Adamo, Prometeo, Ulisse e la donna, ovvero del “tentare” la bellezza

L’immagine salvifica della donna è un tema dominante della tradizione poetica occidentale, dalla lirica trobadorica attraverso la Beatrice dantesca fino alla Clizia di Montale. E tuttavia la celebrazione della bellezza femminile non è esente da ambiguità, già a partire dal mito delle origini. Almeno nella mitologia ebraica e greca, la presenza femminile è inseparabilmente associata a un nucleo tematico comune, quello dell’accesso alla conoscenza, anzi dell’invenzione stessa dell’umanità. Ma, mentre ad Adamo e a Prometeo viene assegnato il merito di questa conquista, alla bellezza femminile, quella di Eva e di Pandora, o almeno di ciò che di essa si è depositato nell’immaginario culturale – la seducente figura di una “tentatrice” – è attribuita la “maledizione” cui soggiace la condizione umana, quella della perdita di un’innocenza originaria che equivale alla dimostrazione della «pericolosità» della conoscenza per la realizzazione dell’essere umano.

Anche per la figura dell’Ulisse dantesco, emblema dell’origine dell’uomo moderno, la “bruttezza” – il “vivere come bruti” – corrisponde alla rinuncia di quella “semenza” per cui la realizzazione della natura umana coincide con l’unilaterale “perseguimento” dell’ardore, del desiderio di conoscenza.

Per Roberto Imperiale, queste tre figure maschili – Adamo, Prometeo e Ulisse – rappresentano i tre grandi “tentatori” dell’umanità, nel senso proprio di coloro cui spetta il compito di “cercare di prendere” o “cercare di raggiungere” la bellezza: un uscire dai confini del semplice godimento della bellezza “naturale” – di un ipotetico giardino dell’Eden – per andare oltre la sua sola contemplazione e avventurarsi nell’indagine sulla sua ratio, sulla sua segreta struttura o disposizione.

Il compimento della scoperta della bellezza accade ogni volta: non appena il potere di attrazione della bellezza è in grado di corrispondere alla costruzione di una domanda, di un problema. Come quando, ad esempio, ci si interroga sulla disposizione dei semi della corolla di un girasole. Un numero collega questa disposizione ad altre in natura ed è rispondente alla sequenza di Fibonacci. Un numero che è pur sempre una scoperta “per approssimazione”.

(6, continua)

7. Educare alle parole, per dire la bellezza

«Le parole sono il limite del pensiero»? Un’idea analoga la si trova nel Trattato di Ludwig Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo” e, in ultimo, senza parole non c’è pensiero. Siamo in grado di pensare – nel senso di dare significato – solo il mondo cui siamo capaci di dare parola, e, quindi, la realtà del mondo cui possiamo accedere è circoscritta alle parole che nel corso del processo di acquisizione del linguaggio sono messe a nostra disposizione. Perché, appunto, il linguaggio è di fatto, oltre che mezzo di comunicazione, uno strumento di orientamento, una mappa attraverso cui fare esperienza del mondo – dal proprio posto nel mondo e non certo dal punto di vista di un essere onnisciente, infinito.

Cosa dire allora dell’esperienza estatica della bellezza? È la contemplazione di ciò che non può essere detto, dell’indicibile, dell’ineffabile? È una resa al silenzio? O, invece, l’emozione – l’ardore – per la bellezza è la condizione, ogni volta pari a quella dell’infante (di colui che non ha ancora l’uso della parola) con cui si inaugura la ricerca poetica, in senso etimologico, della creazione, dell’invenzione del pensiero?

Per Roberto Imperiale, questa condizione equivale a riconoscere la nostra dipendenza dal tempo, dal tempo del processo della nostra educazione, il cui «fondamento è il possesso del linguaggio, anzi delle lingue», è un educare alle parole. E volendo, per ipotesi, assumere una prospettiva teologica cristiana – Vangelo di Giovanni: “Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio” – secondo cui “la Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo fra noi”, si potrebbe dire che l’indagine sulla bellezza del mondo è un processo di “incarnazione” della parola, un «trovare le parole per dire» la bellezza. Un processo, che «ci obbliga a fare i conti con l’infinito, con l’alogon, con l’indifferenziato, con l’impronunciabile», con ciò che dal tempo di Pitagora è la radice di due (√2).

(7, continua)

8. Comunicare la bellezza, per mettere insieme educazione e politica

Cosa c’è del mondo da salvare, oggi? In un mondo, così vicino alla catastrofe globale, è difficile non interrogarsi sul senso dell’esperienza della bellezza. Nell’oscura confusione della sensibilità in cui è dispersa la singola esistenza, come riuscire a identificare «il paradigma della bellezza», in grado di abilitare un senso, un’intelligenza del presente? Come fare dell’esperienza estetica un’impresa orientata a quei valori fondanti la nostra tradizione culturale – l’utile, il bene e il vero – con cui progettare la convivenza umana?

Per Roberto Imperiale, «la bellezza è il frutto di una ricerca drammatica» quotidiana. Una ricerca, che è un “lavorare” non sull’evidenza razionalista di una verità del mondo ma sulla sua radicale incertezza, a partire dalla messa in discussione della nostra stessa credenza circa ciò che è utile, buono e vero. E non senza praticare quel grande gioco del linguaggio che l’ironia e l’autoironia.

Questa “messa in dubbio” dell’esistente non può essere un’impresa privata, ma quella di una comunità dialogante, capace di comunicare la bellezza, per la realizzazione di una nuova progettualità della vita sociale. Una progettualità, che sappia mettere insieme – ma come? – politica ed educazione, perché è «la prevalenza della modalità pedagogica», nella soluzione del problema di dare senso all’esistenza propria e del mondo, la condizione per abilitare il singolo individuo in prima persona (io), e i giovani soprattutto, a “prendere in mano” il presente, non il futuro, del mondo.

(8, fine)

9. La bellezza salverà il mondo? – Momento conviviale 1

Dante nella Commedia e la matematica

Roberto Imperiale: – Dante ha detto delle cose straordinarie. Anche qui c’è questa bellezza, perché la commedia è logos. La matematica che usa Dante come metafora è straordinaria.

10. La bellezza salverà il mondo? – Momento conviviale 2

Fibonacci, Castel del Monte e la sezione aurea

Roberto Imperiale: –  Fibonacci ha partecipato alla progettazione di Castel del Monte, che è la bellezza fatta pietra o la pietra fatta bellezza, e non solo, ma è tutto ciò che ancora è ignoto rispetto al fatto che abbia otto torri, che sia il simbolo dell’infinito. Il portale di Castel del Monte è inscritto in un pentagono regolare. Tu sai qual è la proprietà fondamentale di un pentagono regolare?

11. La bellezza salverà il mondo? – Momento conviviale 3

Sull’insegnare e altri mestieri di contatto personale

Renato Tomba: – In un’ideologia un po’ lavorista, riconoscere [ai tempi delle lotte sindacali per la scuola] che l’insegnamento era una professionalità specifica, mai!
Roberto Imperiale: –  Mai! Per fortuna c’è chi mette insieme alla professionalità una sorta di, dico la parolaccia, di missione. Perché, quando hai a che fare con persone e non con macchine, hai responsabilità di altro tipo. […] Ci sono tre mestieri che mettono in contatto direttamente l’uomo con un altro uomo: il prete, il medico, l’insegnante e poi c’è il quarto…