Facebook, Instagram, WhatsApp sono il più grande cimitero del mondo, in quanto contengono milioni di profili di utenti deceduti. Quali sono le principali conseguenze? Che cosa succede ai dati online una volta che gli utenti che li hanno prodotti sono deceduti? In che modo cambiano l’elaborazione del lutto e i linguaggi legati ai riti funebri?
I social media offrono opportunità importanti per avere un rapporto più pacificato con la propria mortalità oppure tendono a intensificare la rimozione sociale e culturale della morte?
A partire dall’esempio della nota puntata Torna da me di Black Mirror, moltissimi esperti delle nuove tecnologie digitali stanno creando gli “spettri digitali” dei morti, rielaborando tutto il loro materiale condiviso all’interno dei social network, di modo che i vivi possano continuare a dialogare con i defunti. Addirittura, sono molti gli studiosi che sostengono che il futuro prossimo sarà popolato dagli ologrammi dei morti. Quali sono le implicazioni etiche di queste innovazioni? Come devono essere interpretati gli “spettri digitali” dei morti e gli ologrammi? Sono dei semplici ricordi interattivi dei defunti oppure hanno una loro specifica identità? Aiutano a elaborare il lutto o lo impediscono?
Ad aiutarci ad affrontare questi problemi ci sarà Davide Sisto*, autore del libro La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale, Bollati Boringhieri, Torino 2018.
* Davide Sisto è, filosofo, assegnista di ricerca in Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino, è esperto di tanatologia. Per saperne di più qui
1. I social network e la morte
L’innovazione tecnologica digitale, a partire soprattutto da un social network come Facebook, il più grande cimitero al mondo, come trasforma la nostra esperienza sociale della morte?
Davide Sisto osserva che il carattere social del network può offrirci qualche mezzo – non privo di ambiguità – per affrontare l’esperienza del dolore e l’elaborazione del lutto.
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2. Immortalità digitale?
L’antico mito della ricerca dell’immortalità si perpetua oggi nelle invenzioni della tecnologia informatica – sono i chatbot, la copia digitale o l’ologramma delle persone. L’identità personale sopravvive sotto forma di spettro, di “spettro digitale”.
Che cos’è l’immortalità digitale? È la realizzazione, per Davide Sisto, dell’«obiettivo di far sopravvivere la propria identità alla morte oggettiva di chi l’ha “incarnata” nel corso della vita» dentro il mondo dell’informazione e della comunicazione digitale.
Ma, allora, la nostra esperienza digitale – sul web, un ambiente digitale, la nostra identità conduce già sempre un’esistenza interconnessa e puramente informazionale (di foto, video e scritture digitali) – ci offre l’opportunità di educarci all’esperienza della nostra mortalità o perpetua la negazione della morte, l’illusione dell’immortalità?
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3. Il selfie con il cadavere e Martin Heidegger
Una volta celebrato il rito funebre, che ne è del morto? «Egli è assente ma, al tempo stesso presente – come dice Davide Sisto riprendendo le parole di Thomas Macho – o, meglio, è presente nell’assenza». Questa è la condizione paradossale del morto, una oscillazione tra presenza e assenza.
«Dal punto di vista di chi vive, la morte è sempre solo un memento mori e un’immagine. Anzi, l’immagine stessa nasce in relazione al memento mori e alla morte, per prolungare la vita nonostante la sua fine e per lenire tramite il ricordo la sofferenza legata alla perdita. Il senso proprio dell’immagine è, infatti, fornito da ciò che, essendo divenuto assente, può rimanere presente solo nei termini della sua raffigurazione».
La tecnologia digitale offre oggi nuovi strumenti per l’elaborazione dell’«immagine» del morto, nuove possibilità di sopravvivenza, di mantenimento della memoria. E, perché no, anche nuove pratiche rituali – come il selfie con il cadavere al funerale.
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4. L’invenzione digitale di un aldilà social
L’aldilà si è fatto social – la trascendenza è divenuta uno spazio virtuale di condivisione di memorie digitali.
Questo spazio virtuale, condiviso, ci aiuta a gestire, in modo più realistico, la nostra condizione, quella della nostra mortalità?
Per Davide Sisto la cultura digitale, in relazione alla nostra esperienza della morte, è «uno strumento in più con cui educare le persone a gestire la propria esistenza rendendole consapevoli che quell’esistenza non è destinata a durare per sempre».
Cominciare, quindi, a interrogarsi sulla propria eredità digitale, sul proprio lascito virtuale, sulle proprie tracce nel mondo dei nuovi media, può essere già un buon esercizio di ascesi, una buona pratica di distacco dal proprio stare nella realtà del mondo.
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5. Ma nell’aldilà social si guadagna il paradiso?
I social network sono la soluzione al problema dell’immortalità?
O sono gli artefatti dell’intelligenza artificiale – chatbot, copia virtuale o controparte, ologramma – a realizzare finalmente l’antica questione religiosa della sconfitta della morte, del passaggio alla vita eterna?
Ma quale bisogno soddisfa l’immortalità digitale? È il passaggio a un’altra realtà, il trasferimento in un paradiso social?
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6. Memorie digitali: nostalgia del passato e perdita dell’idea di futuro?
In questa era digitale, la creazione, in quantità così elevata, di dispositivi di registrazione, di accumulo di memoria collettiva, cosa può significare? È il tentativo della nostra società di preservare sé stessa, prima dell’imminente catastrofe della sua fine? Un tentativo non meno fragile dei supporti materiali cui si affida?
È il segno di una perdita di un’idea di futuro? Di una società la cui condanna è quella di guardarsi solo più indietro, schiava della nostalgia per il passato?
Forse, invece, l’unica previsione che ci resta è quella di una versione futura dell’essere umano in grado di trascendere sé stesso, di realizzare le sue potenzialità, ma solo a condizione di somigliare all’intelligenza artificiale – alle macchine intelligenti – della cui progettazione oggi è l’artefice, ancora.
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