Il linguaggio della politica – ma forse tutto il linguaggio – ha a che vedere con l’azione, e quindi ci intrappola nel fare.
Il fare politica, oggi, interessa ancora la prospettiva di una soluzione diversa della convivenza umana? O pensiamo già di vivere nel migliore dei mondi possibili? E, quindi, è solo più una questione di controllo, e non più di cambiamento?
Nuove forme di socialità, dal mondo virtuale e simbolico della comunicazione a quello economico, basate sulla condivisione e la cooperazione, sembrano essere l’espressione di un nuovo bisogno di politica.
Ma quale politica è in grado di liberare e promuovere un progetto di convivenza, che si faccia carico di questo nuovo bisogno di socialità?
Ad aiutarci a riflettere su questo tema Elia Bosco.
1. Essere post- (Dopo la cena con Elia Bosco)
Scusate. Per un errore tecnico, la registrazione del Cena N° 20 di C O N D I R S I non c’è. Al suo posto, un intervento audio post–cena di Ilaria e Edoardo.
Una semplice domanda – Che cos’è la politica? – posta da Elia Bosco ha movimentato la serata.
Le risposte non sono state coincidenti e, forse, neppure condivise.
Al fondo una questione: la politica è ancora in grado di progettarsi come una proposta di convivenza? O, in ogni caso, come proposta creativa o come limitazione autoritaria?
La soluzione di Thomas Hobbes alla conflittualità della convivenza – Homo homini lupus, «l’uomo è un lupo per l’uomo» – è dura a morire come giustificazione di un potere sovrano che induce obbedienza.
Nelle parole di Ilaria e di Edoardo, in quel loro sentirsi o essere post– qualcosa, c’è come la presa d’atto che sia tempo, oggi, di fare a meno di un “dover essere” dell’individuo, imposto da un ordine sociale esistente. Che, insomma, si possa liberare l’individuo come essere sociale cosciente e responsabile del proprio prendere parte alla costruzione del mondo, nella convivenza con gli altri… se solo, però, ce ne fossero gli spazi.
Ma appunto non è questo un compito della politica, del suo fare?
Un tema da portare avanti.
(1, fine)