Ma la storia non è “oggettiva”? E non la scrivevano “i vincitori”? Com’è possibile, allora, che banalizzazioni, mistificazioni e falsificazioni abbiano una circolazione così ampia, dando nuova linfa vitale al punto di vista dei presunti “vinti”; cioè, nel caso dell’Italia del Novecento, dei fascisti?
Con lo storico Carlo Greppi* partiremo da queste domande per riflettere sulla storia contemporanea, sul suo uso pubblico negli ultimi decenni e su possibili antidoti per contrastare questa pericolosa deriva.
* Carlo Greppi, storico, è autore di numerosi saggi sulla storia del Novecento. È curatore della serie Laterza “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti”, inaugurata dal suo L’antifascismo non serve più a niente (2020). I suoi ultimi lavori sono il saggio Il buon tedesco (Laterza 2021, Premio FiuggiStoria; Premio Monte Carmignano per l’Europa “Memoria e Riconciliazione”; Premio Giacomo Matteotti) e il manuale Trame del tempo (Laterza 2022; con C. Ciccopiedi, V. Colombi, M. Meotto), del quale ha firmato il terzo volume: Guerra e pace. Dal Novecento a oggi.
1. La contro-narrativa fascista, l’eccezione elevata a norma
Il compito dello storico, e della storia in generale, è quello di collocare gli eventi in un contesto generale, da cui gli stessi eventi traggono il loro senso.
Cosa succede quando una pubblicistica storica si limita a raccontare, se non a celebrare, eventi eccezionali – come è il caso delle foibe – che rovesciano il senso della responsabilità storica del fascismo? E questo giocare sull’eccezione si fa norma, contro-storia dominante?
Di certo, è una sconfitta per gli storici. Ma segna anche lo smarrimento di una classe politica democratica di centro-sinistra e di una cultura liberale conservatrice, che non è più in grado di richiamarsi con forza, secondo Carlo Greppi, all’eredità della sua stessa genealogia resistenziale.
In questa celebrazione della storia dei “vinti”, che riconduce a normalità la propaganda fascista, viene meno la memoria di quella stagione resistenziale, da cui trae origine il patto fondativo di una comunità democratica.
(1, continua)
2. Sulle foibe, la verifica dei fatti e la “celebrazione” delle vittime
Non ci sono zone d’ombra della storia da evitare. La vicenda delle foibe è una pagina della storia che va raccontata, a condizione che non si ignori l’intera sequenza storica entro cui si svolsero le due fasi principali di quella vicenda. Una storia di invasione, di eccidi e deportazioni, di occupazionee di liberazione.
Entro quel contesto, la “celebrazione” istituzionale delle vittime delle foibe, che Carlo Greppi definisce provocatoriamente «un colpo di tosse della seconda guerra mondiale», appare un’operazione vergognosa. A scapito di altre vicende ignobili – come per altro lo è la storia coloniale italiana – che risultano assenti nella memoria pubblica.
Occorre, allora, ripartire dalle basi fattuali di una storia europea, insanguinata dal nazismo, per restituire, per l’Italia almeno, l’azione della Resistenzae quella della Repubblica di Salò, con la sua complicità nel massacro dei civili, a una corretta prospettiva di valore – quella che riguarda il bene e il male.
(2, continua)
3. La storia tra ideologie identitarie e futuro dell’umanità
Di quale attrezzatura concettuale occorre disporre per una decostruzione dei posizionamenti politico-ideologici – destra/sinistra o fascismo/antifascismo – relativamente a fenomeni attuali, come la crisi economica, l’immigrazione o la guerra, che sono determinanti per il futuro?
Per Carlo Greppi, l’analisi storia deve rispondere al compito di smascherare l’inconsistenza dell’identitarismo locale, che discrimina gli esseri umani in base, ad esempio, alla territorialità, che è il retroterra del razzismo e del fascismo.
Ma è sufficiente per pensare la lotta contro queste posizioni ideologiche senza anche una lotta contro le condizioni di vita economico-sociali che quelle posizioni producano? Senza risalire all’attuale situazione di crisi del capitalismo, del suo processo di valorizzazione, nella creazione della ricchezza reale – attraverso cui si attua l’effettivo processo di discriminazione all’interno della società umana, e anche non umana?
(3, continua)
4. La storia e le categorie politiche di destra e sinistra
L’orientamento ideologico dei movimenti politici conservatori o reazionari, le cui varianti vengono classificate attraverso una serie di prefissi: -post, -neo, -ultra, -para, per Carlo Greppi, trova la sua genealogia nel modello politico-culturale del fascismo storico.
Evidenziare questa derivazione ideologico-politica della destra contemporanea significa forse volgere lo sguardo al solo passato? O non significa invece comprendere il segno ideologico della lotta in atto per l’egemonia culturale e politica che in prospettiva riguarda il disegno del futuro della società?
Ma cosa definisce oggi una cultura progressista, di sinistra? Il riferimento alla sussistenza di privilegi di accesso alla ricchezza reale della società, che garantisce una parte del mondo, e all’interno della società stessa, contro un’altra, consentendone lo «schiacciamento» e lo sfruttamento, è oggi una questione chiave. Legittimare tali privilegi, introducendo il «tarlo della territorialità», l’identitarismo locale come condizione di natura o di appartenenza per tradizione, o invece farne una pratica di lotta è ciò che differenzia una cultura di destra o di sinistra.
Ma forse non basta. Occorre anche pensare l’alternativa, il progetto di una società diversa, in cui venga meno l’esistenza di quelle condizioni di vita sociale, il cui semplice sussistere esprime appunto la subordinazione, e la subordinazione necessaria a quelle condizioni stesse, un dominio che è la stessa struttura economia della società a riprodurre.
(4, continua)
5. La storia e il paradigma vincente della vittima
È la figura della “vittima” l’immaginario con cui oggi il fascismo storico esercita il suo fascino?
Una cultura politica, di una estrema destra, che legittima quel richiamo in termini di memoria cancellata, di offesa subita, non fa che assumere la posizione della vittima, non fa che definirsi in termini ciò che le è stato negato. Al punto di fare, per Carlo Greppi, della «nostalgia artefatta» per un «passato dittatoriale» – una «nostalgia plasmata su una visione distorta di un passato totalmente inventato» – la base per una riscrittura della storia.
L’assunzione del paradigma della vittima non è però che la maschera della ragione dei forti, con cui si legittima la “ferocia” nei confronti dei deboli, la persecuzione del dissenso. È una riscrittura della storia che si fa proiezione sul futuro sotto il segno della ripetizione.
In tutto ciò, come evitare di precludere una visione del futuro, per la quale si abbia «davvero a cuore quello che c’è domani»?
(5, continua)
6. La storia, un argine al potere al tempo dell’analisi dei dati?
Una domanda è stata messa sulla tavola. Anzi, la domanda, quella sul potere nella società, e sulla sua perversione in dominio: Cosa succede in testa a chi ha il potere? In altri termini, è il problema di come impedire che l’esercizio del potere si trasformi in dominio, in coercizione arbitraria.
Certo, parlare di potere significa parlare di una “figura” politica, non nella sua individualità, ma di una funzione rappresentativa, la cui “immagine” è costruita all’interno di una collettività o, meglio, oggi di un sistema di gestione della comunicazione di massa con tutto il suo potere di “falsificazione” digitale dell’informazione.
Di cosa c’è quindi bisogno per contenere il potere della manipolazione comunicativa, dell’analisi dei big data, nella formazione del consenso politico? Qual è l’impatto della ricerca storica nel consentire l’elaborazione di una memoria collettiva consensuale – consensuale perché in grado di confutare la pretesa “identitaria” di una tradizione politica, la cui legittimità non stia solo nell’essere storicamente vincente?
Inevitabile, quindi, per Carlo Greppi, a fine cena porre la domanda: fino a che punto si può essere democratici? O, nei termini del paradosso della tolleranza (Karl Popper, 1945), fino a che punto siamo disposti a perseguire la libertà di una società tollerante, aperta, senza consentire l’avvento di un dominio degli intolleranti?
(6, Fine)
7. La storia alla rovescia – Momento conviviale 1
«Uno dei peggiori mali che la storia ha fatto, almeno dall’Ottocento a oggi, è stato quello di cementificare un senso identitario mortifero, criminale, che va a creare il “noi” e il “loro” e a far morire e a uccidere, sulla base di quel noi” e “loro” che è puramente arbitrario». (Carlo Greppi)
8. La storia alla rovescia – Momento conviviale 2
Carlo Greppi: – È proprio una generazione [quella oltre i settanta che ha conquistato posizioni di potere] che fa schifo. Non tutta ovviamente, perché sono qua con voi e non penso che siate parte di quella generazione lì, lo dico sul serio, però una grossa parte dei vostri coetanei fa schifo.
Lorenzo Martellacci: – Anche una grossa parte dei nostri coetanei.
C. G.: – Sì, però noi abbiamo ancora tanti errori da fare, cioè abbiamo trent’anni di errori da fare.
L.M.: – Ma riusciremo a farli?
C.G.: – Sì, lì faremo tutti. Sicuramento faremo più schifo di loro.