Quali sono i modelli di rappresentazione del corpo nella cultura moderna? Sono, questi modelli, in grado di esprimere e riflettere i mutamenti profondi dei modi di concepire l’essere umano, nel suo rapporto con il mondo, in relazione all’avvento e allo sviluppo della cultura dei mass media?̀
L’esperienza del corpo con la digitalizzazione dei media è in mutamento. La centralità che il corpo virtuale, in immagine, ha assunto nella comunicazione di massa forse ha il potere di ridefinire il concetto stesso di corpo.
Ad aiutarci a riflettere su questo tema Chiara Simonigh.
1. Chi abita il nostro corpo?
Il senso del proprio corpo, e insieme della propria individualità, è un’esperienza che diamo per scontata.
Come però abbiamo già imparato (Cena Nº4 del 25.10.2013, – con l’esperimento di neuroscienze: l’illusione della mano di gomma), questa sensazione di abitare un corpo non è poi così affidabile, o, per lo meno, ci obbliga a interrogarci sulla nostra capacità cognitiva di osservatori.
Infatti, quanto più si accresce la conoscenza della base organica della nostra vita mentale, per cui, ad esempio, le nostre capacità cognitive si alterano con l’alterarsi della biologia neuronale, tanto più diviene evidente la nostra condizione di esseri che non sono in grado di distinguere illusione e percezione, immaginazione ed esistenza reale. (Cena Nº13 del 25.07.2014, sul Sogno)
La cosa non è trascurabile. Tanto più se il problema è sapere “come” ci fa sentire avere o essere un corpo: mette in gioco la costruzione del nostro sé, le varie componenti che ne costituiscono l’identità.
È una lunga storia. È quella della separatezza tra cosa sta «dentro al» corpo e cosa sta «fuori dal» corpo, tra un «mondo interiore» e un «mondo esteriore», una dualità che è servita a produrre un apparato concettuale per comprendere, secondo una dimensione spaziale variamente composta – corpo-anima, corpo-spirito, corpo-mente –, l’identità dell’essere umano. Al punto da collocare più spesso «fuori» dai confini fisici del corpo, dalla parte «maledetta» (George Bataille), la percezione del nostro sé più autentico.
Che quindi quel che sta «dentro» al corpo non ci stia troppo a suo agio, è un limite per cui si sono approntate interessanti via di fuga, e di salvezza. Oggi, ce n’è una inedita, la “virtualizzazione”, l’immagine digitalizzata del corpo, preceduta dall’avvento dell’«uomo visibile», della rappresentazione «in immagine» della corporeità della figura umana, tipica della cultura di massa, e che si presta a varie forme di dislocazione sensoriale «fuori» dal corpo stesso.
Intanto, però, noi ci siamo affidati al gusto del cibo in tavola.
(1, continua)
2. Il corpo in immagine, liberato?
C’è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza!
(Friedrich Nietzsche)
Dove abbiamo imparato a baciare? Al cinema, molto probabilmente. Almeno fino a qualche tempo fa. E oggi? Attraverso quali pratiche o tecniche del corpo e sul corpo impariamo a dare espressione ai nostri bisogni e al nostro desiderio?
Di quali istanze vitali è portatore il corpo, da liberare? *
L’esposizione invasiva dell’«immagine» del corpo, attraverso le tecnologie e i linguaggi dei nuovi media, quale liberazione promette al corpo? L’idea stessa di liberazione del corpo non è essa stessa un’ingannevole illusione indotta dal potere di controllo sociale e culturale, normalizzante, esercitato dai modelli culturali proposti dai mass media?
È quello che Michel Foucault chiama biopotere, l’incorporazione, una microfisica, del potere.
Ma, ancora, liberazione di che e da che cosa?
* Vedere Cena Nº12, Dare voce al corpo o della coscienza corporeizzata
(2, continua)
3. L’ipercorpo, tra reale e virtuale
Quale esperienza è più immediata che la presenza del corpo? Eppure, da sempre, questa esperienza vive della sua propria dualità, quella tra realtà del corpo, in carne ed ossa, e realtà “rappresentata”, la sua messa in scena e, sempre più, nella cultura di massa, «in immagine» multisensoriale; una dualità che, attraverso le tecniche di comunicazione a distanza, è sempre più sotto il segno della dislocazione, dell’essere qui e, al tempo stesso, altrove.
L’intensificazione dell’esperienza, nello spazio e nel tempo, in un tempo e in uno spazio concentrato, è la promessa che la rappresentazione del corpo contiene: un riscatto dalla scarsa vivacità e banalità della realtà quotidiana.
È dunque questo il destino del corpo, oggi, di espandersi attraverso la trasmissione, sotto forma di data elettronici, nella rete globale dei nuovi media? Un ipercorpo, in continua interazione sociale, la cui rappresentazione tecnologica, a sua volta, per un effetto di ritorno, finisce per incorporarsi nell’esperienza del corpo stesso, come in un gioco di specchi, in un riflesso di cui non si sa più qual è l’originale?
A quale prezzo, però? Al prezzo di una fruizione solipsistica, di un’interazione virtuale, gravida di potenzialità, ma solitaria, di un essere solo, di fronte allo schermo.
(3, continua)
4. Un corpo imprigionato
Non ci resta che il corpo, la presenza del corpo? E, senza più anima, vivere la nuda vita del corpo?
Non sembra. È la cultura dell’immagine dei mass media, e ora la tecnologia dei nuovi media, a rendere impraticabile questa soluzione. È il suo sguardo incorporeo, che finisce per conferire al nostro corpo un’anima, a imprigionare in permanenza il corpo nel presente, nel qui e ora dell’istante?
(4, continua)
5. Il corpo virtuale in in(ter)azione
La realtà virtuale è l’inazione di un corpo recluso nel puro spazio dell’immaginario? Oppure, è la “realtà aumentata“ dell’interazione dell’uomo con la realtà stessa?
La virtualità ci obbliga a estendere il concetto di «immaginario», il potere di «invenzione», alla più ampia concezione che l’uomo ha di sé stesso e del mondo. L’invenzione si espande all’intero campo della vita mentale e dell’azione, si svela come capacità di interagire con e nel mondo.
L’invenzione è il nostro potere creativo di ridefinire la realtà, il contesto che è parte della nostra esperienza (tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande) – ed è anche la realtà che la nostra esperienza costruisce.
Ma, forse, la virtualità del corpo ci dice anche che siamo in attesa di un vero Internet, di una vera interazione in grado di soddisfare il bisogno e il desiderio di autorealizzazione.
(5, fine)