Una breve presentazione della P4C – Philosophy for Children, Community, Company, Citizen.
Nel corso della cena sperimenteremo insieme una sessione di pratica filosofica secondo il modello P4C, in una modalità non proprio ortodossa, solo un po’ più creativa. Il setting di questa esperienza non è di solito quello della tavola conviviale, perciò si tratterà in questo caso di una semplice presentazione esplorativa.
Ad aiutarci in questa impresa sarà Roberta Ravazzoni.
1. Pensare come?
– Qual è la sua filosofia di vita?
– Pensare il meno possibile.
– E poi?
– Quando non sai cosa fare, sii gentile.
(Charles Bukowski, Hollywood, Hollywood!)
Non si tratta tanto di ‘quanto’ si pensa ma di ‘come’ si pensa.
La cena è stata un esperimento conviviale di pratica filosofica collettiva*. Dopo una presentazione reciproca, la tavola si è trasformata in un “cerchio” per pensare insieme.
È andata così. Dopo un assaggio di formaggi tra un sorso e l’altro di vino passito, siamo diventati sensibili a quella situazione dialogica, a quell’esperienza che dà forma all’attività del “pensare insieme”, che è l’ascolto reciproco. Pre–testo per la discussione è stato un brano tratto da La regola del gusto di David Hume – pertinente alla situazione, l’assaggio del vino un po’ alterato di una botte.
Quattro le fasi di conversazione previste dal modello P4C. Dove la lavagna è uno strumento indispensabile.
1° – Il lancio del tema. Fase finalizzata a formulare una domanda all’interno di ognuna delle coppie formatesi tra i partecipanti.
2° – L’agenda sul tema. Un insieme di domande ordinate per importanza, che diviene la base comune di discussione, in un tempo prefissato.
3° – Il piano di discussione. Un esercizio di intelligenza collettiva, cui affidare il confronto delle idee. E nel nostro piccolo consesso alla fine ci è sembrato di poter salire anche noi sulle spalle di David Hume.
4° – L’auto-valutazione dell’esperienza. A più dimensioni: quella socio-emotiva e relazionale (clima); quella di approfondimento del contenuto; quella sul ritmo del lavoro e infine sulla facilitazione del conduttore.
Davvero «de gustibus non est disputandum»? Non vi è che la soggettività del gusto? O vi è qualche “regola” di verità cui ricondurre la nostra esperienza comune? In effetti, a tavola è avvenuto uno scontro e incontro di punti di vista diversi, forse ugualmente pertinenti. Ma, in quella tensione, le parole cui si sente di poter corrispondere manifestano un carattere riflessivo, una disposizione a entrare in contatto con una qualche verità, a conoscerla e a comunicarla ad altri.
Ma a che condizione si dà un reale sviluppo del pensiero? Qual è la condizione necessaria perché nuovi pensieri vengano creati per essere poi tradotti in azione nel mondo – che così com’è non va bene?
Questa condizione è indipendente dal ben–essere di chi pensa? Dal poter “gustare” insieme un mondo, che forse è davvero da sognare?
È più facile, attorno a una tavola imbandita, pensare questi pensieri.
*Una pratica filosofica (liberamente ispirato al modello della P4C – Philosophy for Children, Community, Company, Citizen)
(1, fine)