“Una gaia educazione sessuale è un elogio del piacere, una spinta a dotare la vita sessuale di ricchezza fisica quanto di cultura simbolica. Il sesso è cosa buona e giusta e occorre preparare i cuccioli d’uomo a goderlo al meglio delle loro possibilità, senza dimenticare che esso è un’esperienza tutt’altro che naturale, che secoli e secoli di cultura hanno trasformato, talora deviato, talora censurato ma anche molto arricchito, variato e sfumato. Una educazione sessuale che abbia la forza di oltrepassare i millenni di censura ascetistica e di ingombro psicologistico che grava su questa esperienza vitale, deve finalmente poter essere una autentica sensibilizzazione del corpo e una ricca coltivazione della mente”.
Insieme a Paolo Mottana oseremo scoprire cosa è davvero in gioco in un discorso educativo sulla sessualità.
1. Elogio del piacere: per una gioiosa cultura simbolica del corpo
Un discorso educativo sulla sessualità come elogio dell’esperienza corporea del piacere è, per Paolo Mottana, tutt’altro che ovvio. È infatti in contrasto con una tradizione secolare di emarginazione, quando non di mortificazione, della cultura del corpo e della vita sessuale.
Come, invece, perseguire una cultura creativa, interrogante, capace di rivendicare per l’educazione dei “piccoli d’uomo” la possibilità di un diritto al piacere?
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2. Una cultura del piacere per l’espansione umana
Oggi si può sperimentare la sessualità umana in due modi differenti: una, in cui la sessualità, in espressioni come «animalità», «istintualità», «procreazione», è rappresentata come qualcosa di immutabile e un’altra, in cui la sessualità, in espressioni come «ricerca del piacere», «affettività», «creatività erotica», è rappresentata come qualcosa di plasmabile e mutevole. E se ne può concludere che la sessualità è costituita da due differenti sfere di senso, una caratterizzata dalla parola-chiave «natura» e l’altra dalla parola-chiave «cultura», attraverso cui si rappresentano due modi diversi di ordinare l’esperienza del corpo.
E ciò con evidenti conseguenze per la cultura dell’educazione. Ma questa differenza, così posta, come una polarità antitetica, non è forse essa stessa l’esito di una costruzione sociale e culturale del nostro immaginario, eredità di un secolare sistema di dominio della nostra società?
Una cultura del piacere corporeo offre, per Paolo Mottana, l’opportunità di superare quella dicotomia e, quindi, la possibilità di una vita comune più piacevole e più significativa di quanto sia stato finora. Che altro c’è, in fondo, di meglio da fare che creare migliori condizioni di vita per noi stessi e per coloro la cui educazione è una comune responsabilità?
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3. Educazione sessuale, tra struttura autoritaria e utopia
Fino a che punto una gaia educazione sessuale può contribuire a modificare il mondo che ci circonda in direzione della soddisfazione pulsionale che la sessualità reclama?
Se, infatti, la società è il luogo di una soddisfazione possibile, al tempo stesso ne è anche il limite. E l’istituzione della famiglia è lì a testimoniare della difficoltà di emancipare la vita psichica individuale dalla struttura autoritaria che dà ordine all’esperienza del corpo – non fosse altro che attraverso il sentimento della vergogna.
Per Paolo Mottana, l’educazione deve trovare in una figura terza, una cultura sociale, la condizione per una pratica di emancipazione dalla struttura autoritaria della famiglia, anche attraverso la liberazione della soggettività sessuale – in una tensione che, di necessità, possiede ancora i tratti di un immaginario utopico.
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4. La questione sessuale, un problema per la vita quotidiana
Come uscire da un immaginario della sessualità come tabù, come territorio esoterico e iniziatico? E imparare a fare della soddisfazione sessuale – che trascorre dal bisogno sessuale, biologico, a quello emozionale dell’amore – un’esperienza condivisa il più possibile.
Allora l’educazione sessuale, per Paolo Mottana, deve legittimare l’esperienza sessuale, nella varietà delle sue espressioni, come una profonda esigenza vitale.
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5. Appendice – Istruzione scolastica vs educazione esperienziale
Al centro c’è il corpo. Nessuna educazione ignora il corpo. Anzi, lo disciplina. Ad esempio, ne prescrive una rigida immobilità dentro un’aula scolastica. È lì, nel trattamento del corpo, che si evidenzia come il corpo segna la presenza al mondo della nostra soggettività, il nostro posto nel mondo.
Per l’educazione dominante, tradizionale, è un’esperienza in prevalenza chiusa «dentro la testa», tutta cognitiva. Che non si interroga – e questo è grave – su «dentro cosa» sta la testa, di quale contesto di relazioni un corpo ha bisogno per riuscire a esprimere ciò di cui è capace, le potenzialità di un individuo.
È a partire da qui, dalla questione fondamentale: che cosa può un corpo, che una «gaia educazione» misura la sua irriducibile differenza rispetto dall’istruzione scolastica. Perché fa dell’educazione una questione di apprendimento esperienziale.
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6. Un’educazione alla cura del piacere, perché?
L’educazione si situa nel presente, nel tempo della vita reale. Al tempo stesso si apre al futuro. Anzi, è la costruzione di una specifica temporalità, perché è una pratica che istruisce (dal lat. in–struere, costruire, comporre, fabbricare, apparecchiare) il nostro stare al mondo, la nostra stessa convivenza.
Ma un’educazione che voglia «farsi cura», “pharmakon”, del nostro stare al mondo – nell’accadere del vivere, così com’è esposto al “male” della fragilità e della finitezza della vita – non può affermare della vita che la sua stessa vivibilità, il più possibile.
L’educazione quindi non è separabile, per Paolo Mottana, dal problema della «gestione edonica» della vita, dalla possibilità di fare esperienza della bellezza del vivere.
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