Come l’intelligenza può essere orientata a creare valore nella vita?
La contrapposizione tra «ragione» ed «emozione» è di solito abbastanza diffusa nella vita pubblica. Diventare sensibili alla natura emozionale del vivere comune è utile alla discussione razionale?
Fare appello alla compassione in relazione ai problemi della vita sociale, del bene comune, è un’azione politica?
Qual è lo spazio dell’affettività nella nostra vita quotidiana?
Per capire fino a che punto il farsi carico della parte emotiva della nostra vita fa la differenza, soprattutto nella sua espressione sociale, abbiamo chiesto di intervenire come “esperti” a Laura Franzos e Antonio Tafuri Lupinacci.
1. Essere umani, è un problema
Degustare il Barolo, a inizio cena, è stata un’imprudenza. Da subito si è innalzato il livello alcolico – no, ho sbagliato – riflessivo della conversazione.
«Essere umani», e esserlo tutti insieme, è il problema che è stato messo sul tavolo. E non solo per il tempo della cena.
Al centro è, ancora una volta, il tema delle emozioni. Quel genere di esperienza di cui la rabbia, la paura, la felicità, la tristezza, il disgusto, la sorpresa o, ancora, l’odio e l’amore, sono alcune specie. Varietà di quel molteplice «sentire» che entra in scena nella nostra vita spirituale e culturale.
Misurarsi con il caotico materiale delle emozioni ci rende umani? Troppo umani? Che valore attribuire alle emozioni? Sono elementi essenziali dell’intelligenza umana? Oppure sono energie, moti non razionali, che dominano la persona, senza rapporto con il modo con cui essa percepisce e pensa il mondo?
Di certo non è possibile sottrarsi al ruolo che queste tumultuose esperienze giocano nella riflessione su ciò che conferisce valore alla nostra vita, e fa la nostra felicità.
Anzitutto, perché esse sono proprio ciò che sembra risuonare dietro la «maschera», la persona che siamo, e sembra chiederne il riconoscimento.
(1, continua)
2. Emozioni in politica
È dalle emozioni che trae origine l’espressione della nostra umanità? È il substrato emotivo* su cui si basa ogni nostra azione ciò che ci rende umani, e, quindi, capaci di costruire una comunità civile e politica?
Se è dalle emozioni che nascono i mondi delle nostre varie e diverse forme di convivenza, allora è in quanto tale che il nostro vivere come esseri umani è politico.
Tutta la storia evolutiva dell’Homo sapiens, che ci ha dato origine, è la storia di un apprendimento a dominare l’impulsività istintiva, che facilmente assegniamo al coinvolgimento emotivo del nostro vivere? O, al contrario, si tratta di apprendere ancora che l’origine della nostra umanità sta proprio lì, in ciò che più ci lega alla natura e agli altri, tutti insieme?
La capacità riflessiva di sentire, di sentire sé stessi come un altro, come modo di percepire e di comprendere la realtà della convivenza, è a sua volta un’esperienza emotiva, quella della condivisione e della partecipazione. È l’esperienza del «homo sum: humani nihil a me alienum puto», «sono uomo: nulla di ciò che è umano mi è estraneo, io dico» di Terenzio.
Forse educare all’empatia, al rispetto delle emozioni, proprie e altrui, a saperle riconoscere e accettare, è il primo passo verso una comprensione dell’essere umano, del suo essere «in relazione», nel suo essere politico. E, con qualche difficoltà, a cominciare da dove c’è invece competizione, priva di rispetto e di accettazione, di sé stessi e degli altri, e, all’estremo, là dove la relazione è tra servo e padrone, tra vittima e carnefice. E, forse, proprio perché quel mondo non è desiderabile.
* Vedere Cena N°12 – Relazioni ed emozioni: forme e colori del vivere con gli altri con Diego Iracà
(2, continua)
3. Intelligenza ed emozioni in politica
Nel mondo attuale «globalizzato», gli uomini sono sempre più «in relazione», in un’immediata e istantanea interdipendenza, ma questa interdipendenza è in grado di generare la solidarietà? Di accrescere la reciproca comprensione? Di inventare nuovi legami sociali, improntati a una maggiore soddisfazione di sé e una maggiore comprensione del mondo?
La volontà di vivere in interdipendenza con altri sembra sfuggente e fragile. Segno forse di un cambiamento critico, evolutivo dell’essere umano, da Homo sapiens a Homo Empathicus?
Si tratta prima di migliorare la natura dell’essere umano o prima le sue condizioni di vita, perché possa darsi quel cambiamento? Non sappiamo da dove cominciare.
Le emozioni ci invitano a guardare al mondo dal punto di vista del soggetto, della sua soddisfazione, per ciò che concerne la sua prosperità, la sua felicità: hanno a che fare con noi, con ciò che ci appartiene, con i nostri progetti e scopi, con quel che è importante nella nostra concezione di ciò che significa per noi vivere bene.
Può essere, però, che la nostra intelligenza come creature politiche, la nostra capacità di ragionare su una prosperità solidale, a partire dalla condizione tecnico-economica del mondo attuale, risulti carente, deficitaria senza anche uno sviluppo emotivo delle nostre vite?
Qui a tavola, per un momento, viviamo quella dimensione della convivenza che si intreccia alle emozioni della condivisione, tra cibo e parole, e prende la forma del conversare insieme.
(3, fine)