Di uno strano paradosso si alimenta l’attuale istituzione scolastica, una condizione di vita protratta a lungo nel tempo, per giovani uomini e donne che vi entrano. Entrano per imparare a immaginare qual è il loro posto nel mondo, e finiscono per non sperimentare altro che la noia della clausura scolastica e il sacrificio del loro tempo. La promessa emancipatrice dell’educazione si risolve nella servitù a una “macchina riproduttiva” della società, che li espone al rischio di essere inutili, in nome di un futuro nebuloso e incerto.
La «gaia educazione» e l’educazione diffusa sono un tentativo di pensare la vita dei giovani, bambini e ragazzi, in maniera un po’ diversa da come la nostra società ne esercita il controllo. All’insegna del piacere, dell’avventura e di un’autentica affermazione vitale qui e ora come soggetti e non come “minori” detenuti in attesa di giudizio. Una via creativa a un’esperienza educativa finalmente intensa, appassionante e desiderabile.
Ad aiutarci a ripensare insieme la nostra educazione ci sarà Paolo Mottana.
1. Un’educazione scolastica ascetica, da distruggere
“Abolire l’istituzione scolastica” era il progetto di Ivan Illich, in Descolarizzare la società del 1971.
Perché lo dobbiamo fare? Per Ivan Illich quel “perché” era una congiunzione causale, non un avverbio interrogativo.
Non apriva a una domanda, ma teneva insieme la critica radicale dell’istruzione istituzionale e un progetto di trasformazione della società. Verso una società davvero educante.
L’abolizione di una società scolarizzata, per Paolo Mottana, è una necessità che vale ancora oggi, e forse di più. Una necessità che è iscritta nel corpo, in giovani corpi, e nella disciplina ascetica della società, che obbliga quel corpo a entrare nella scuola.
Quale occasione migliore della convivialità a tavola per metabolizzare un progetto, invece, di “gaia e diffusa educazione”?
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2. Una educazione gaia e diffusa, da costruire
Bisogna cambiare il disegno della società per cambiare la scuola. E viceversa. Una società educante è una società che impara ad accogliere le potenzialità espressive e creative di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, di soggettività in crescita – una società che Ivan Illich definiva di tipo conviviale.
Ma come? Durante la cena, Paolo Mottana ha delineato i percorsi possibili di una «educazione diffusa»: dentro la città, non più solo dentro la scuola, in una aula. È una trasformazione, che non lascia più le cose come prima.
È il progetto di una educazione pubblica, di una scuola che entra nella società. Di una società, uno spazio sociale, a “maggiore tasso di responsabilità” educativa, dove i “cuccioli d’uomo” vi entrano, non per produrre, ma per “fare esperienze” di sé stessi, della loro corporeità, come esercizio di autentica cittadinanza attiva.
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3. Oltre la scuola: apprendere dall’esperienza
Oltre la scuola… perché stare dentro la scuola «non è una cosa buona». Ma cosa c’è in gioco? L’interesse per la vita, l’andare nel mondo di giovani vite in crescita.
Apprendere dall’esperienza, nel contesto delle infinite culture della vita sociale, è forse la sola condizione per apprendere davvero cosa significa apprendere.
E Paolo Mottana ce ne ha mostrato il piacere, la bellezza.
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4. Abitare il mondo, per salvarsi
Ma che mondo vogliamo?
L’educazione deve rispondere a questa domanda. Che, altrimenti, come può il sapere di un bambino o di un ragazzo, e quindi il suo fare, essere adeguato al suo vivere, essere un sapere della sua vita quotidiana?
Ed è una questione radicale, che riguarda il “qui e ora”, una questione di intensità della vita.
Qui, la risposta di Paolo Mottana.
Un invito a salvarsi la vita, e a non rinunciare a tenere insieme i legami.
(4, fine)