C’è una domanda di senso che interessa la vita di ognuno di noi. Una domanda che, di rado, rivolgiamo alla scienza economica. Eppure, capire qual è il proprio posto nel mondo è una questione che ha a che fare con la produzione delle condizioni economiche e sociali della nostra esistenza.
Ora, le tre variabili: valore, moneta, tecnologia, cui l’analisi economica fa riferimento, sono davvero estranee o neutre all’esigenza di una comprensione delle nostre condizioni di vita? O, al contrario, per comprendere il presente passaggio critico della vita sociale è indispensabile riscoprire l’economia politica come disciplina umanistica e sociale?
Una disciplina che ci aiuti ad aprire gli occhi sulla dinamica economica che domina la nostra vita. Un dominio oggi che riduce, non solo il nostro tempo di lavoro, ma più in generale il tempo di vita stesso alla pura contabilità di una “misura” monetaria. Una logica che, se estesa alla riproduzione della vita sociale, e ancor più all’urgenza della sua “transizione ecologica”, apre a prospettive poco rassicuranti per la giustizia sociale e per a nostra stessa sopravvivenza.
Ad aiutarci a capire la situazione politica ed economica, che ci riguarda, ricca di paradossi e di preoccupanti novità, ci sarà Andrea Fumagalli*.
* Andrea Fumagalli è docente di Economia all’Università di Pavia. I suoi interessi di ricerca sono prevalentemente relativi alla teoria macroeconomica, alle teorie monetarie eterodosse, all’economia dell’innovazione, alla distribuzione del reddito e alle mutazioni del capitalismo contemporaneo. Fra le sue ultime pubblicazioni L’economia politica del comune. Sfruttamento e sussunzione nel capitalismo bio-cognitivo, DeriveApprodi, Roma, 2017 e Valore, moneta, tecnologia. Capitalismo e scienza economica, DeriveApprodi, Roma, 2021.
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1. L’economia politica, da scienza sociale a scienza formale del capitalismo
L’economia politica è una scienza sociale nata alla fine del ‘700 con il capitalismo. Ed è nel suo passaggio da scienza storico-sociale e umanista a scienza formale che, per Andrea Fumagalli, va interrogata.
Che cosa ha permesso di trasformare, negli ultimi trent’anni, l’economia politica in una scienza che si applica alla realtà empirica delle relazioni umane attraverso l’uso di una metodologia che è quella della logica formale (del calcolo matematico)?
La svolta a “scienza esatta” dell’economia politica non fa che definire le relazioni umane sotto la specie della “scambiabilità” di ogni attività umana. Una tale “riduzione” si legittima, secondo Andrea Fumagalli, solo per il fatto che la scienza economica è “scienza del principe”, una scienza del potere.
Ma è davvero possibile ricondurre a “misura”, a calcolo formale, la complessità, e l’incertezza, della vita sociale? E che ruolo vi giocano il valore, la moneta e la tecnologia come elementi fondamentali del sistema capitalistico?
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2. L’intreccio valore, moneta e tecnologia: una dinamica del capitalismo
È vero che «la ricchezza delle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una “immane raccolta di merci”» (Karl Marx) e la merce ne è la “forma elementare”.
A partire dalla constatazione che una merce è dotata di “valore” è possibile risalire alla comprensione del funzionamento del sistema diproduzione capitalistico? Quali teorie del valore sono presenti nel pensiero economico?
Che il lavoro salariato diventi un “vincolo” per il processo di valorizzazione della ricchezza monetaria del sistema capitalistico che cosa significa? E che cosa significa che la ricchezza della società viene a dipendere dallo sviluppo della tecnologia, dall’incorporazione della scienza nel processo economico della produzione?
La teoria “oggettiva” del valore (di Adam Smith, David Ricardo e Karl Marx) è in grado, per Andrea Fumagalli, di aiutarci a svelare l’intreccio economico di valore, moneta e tecnologia come movimento reale della società moderna.
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3. Dall’incertezza della valorizzazione capitalista alla precarietà lavorativa
Qual è l’impatto dell’applicazione delle scienze dell’incertezza – una modellistica matematica – ai problemi del mondo reale, come nella finanza e nell’economia? È davvero possibile credere che esistano strumenti in grado di misurare l’incertezza, il caos del mondo?
Dalla rivoluzione industriale, la capacità di prevedere gli eventi rilevanti della società, la cui connessione è diventata più complicata, è quasi ridicola. Un evento come un’epidemia o una guerra, il cui accadere, per quanto appartenga alla storia umana, tende in genere a essere escluso dal campo delle normali aspettative, presenta però un impatto enorme sulla nostra vita comune. Sembra davvero che non sappiamo che farcene della nostra cecità al caso.
Non proprio, però. Nel sistema di produzione capitalistico – come “sistema del denaro” – la valorizzazione (l’incremento di capitale) si realizza soltanto attraverso lo scambio per cui la coincidenza tra produzione e consumo è l’esito di un processo a “rischio”. Non è data a priori.
Ma oggi il funzionamento del “gioco”, dall’esito incerto, in cui domanda e offerta si incontrano – ovvero la riproduzione sociale in forma capitalistica – si perfeziona attraverso l’impiego di tecniche di controllo della vita individuale, dell’individuo come consumatore. E, in ultimo, la “riduzione del rischio” (d’impresa) finisce per scaricarsi sulla precarietà della vita lavorativa.
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4. Dalle tecniche disciplinari di Foucault alle tecniche di controllo sociale di Deleuze
Passare il tempo a farsi selfie per diventare un influencer sui social non aiuta a conoscere come funziona il mondo, e neppure mette in condizione di comprendere qual è la propria posizione in esso. Questa diffusa aspirazione giovanile è un fenomeno sociale.
Per Andrea Fumagalli, la sua spiegazione è da ricondurre al passaggio storico di un esteso processo di formazione della soggettività individuale, e del suo immaginario – dalle “tecniche disciplinari” (Michel Foucault) alle “tecniche di controllo sociale” (Gilles Deleuze) –, la cui necessità sta nella dinamica interna all’organizzazione capitalista della produzione.
All’espulsione dalla fabbrica (taylorista/fordista) di “lavoro vivo”, con l’introduzione dell’informatica nel processo lavorativo, viene a corrispondere l’estensione all’intera vita individuale dei processi di “messa a valore”, di mercificazione. L’individuo, anche come corpo assoggettato a un edonismo consumistico, finisce per convertire sé stesso su smartphone in un “flusso di informazioni”, in un’immane raccolta dati per il mercato.
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5. Andare oltre l’antropologia dell’homo oeconomicus?
È possibile andare oltre l’antropologia dell’homo oeconomicus? All’origine, per Andrea Fumagalli, quella immagine dell’uomo è un’ideologia progressista, è il tentativo di pensare «la creazione di una struttura antropologia migliore».
È un’idea ancora oggi dominante. L’essere umano si caratterizza per la sua ricerca utilitarista della felicità, che richiede la massimizzazione del benessere individuale in condizione di indifferenza reciproca. La premessa che vi è racchiusa – l’essere umano si qualifica per il suo libero arbitrio (autodeterminazione) e la sua totale libertà – presuppone la sussistenza di una società atomista, una società che è la sommatoria di comportamenti individuali. L’individuo è l’unico soggetto sociale possibile.
È una prospettiva in base alla quale è possibile pensare la libertà solo per via negativa: è necessario spezzare ogni vincolo e continuare a ignorare le condizioni sociali che rendono effettiva la sua realizzazione. E solo così oggi si spiega l’opposizione dominante a introdurre un «reddito di base» – al meno, per chi non ce la fa – come diritto sociale, come mutuo sostegno all’esistenza.
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6. Socialità perduta o individualità reinventata?
Che ne è di quel senso – che fu il ’68 – per il quale “cambiare il mondo” sta nella possibilità di un fare collettivo?
La viralità patogena di SARS-CoV-2 continua a segnare la gestione quotidiana della nostra individualità, e secondo una piega paradossale. L’esistenza individuale, emersa dal suo isolamento corporeo, sembra reclamare spazi di una socialità perduta; e, tuttavia, nel dislocarsi in una realtà virtuale, mediata dai dispositivi della tecnologia digitale, sembra potersi reinventare, anche nella sua dimensione lavorativa, in un sistema di condivisione intelligente, di mobilitazione di competenze cognitive, comunicative e sociali, basate proprio su un libero coinvolgimento soggettivo.
Il protocollo di emergenza dell’«isolamento», un esperimento sociale inedito per la sua dimensione globale, sembra però aver dato corpo a una diffusa immaginazione con cui si fa riferimento quando si parla dell’individualità di un essere umano: della sua esistenza come di qualcosa di a sé stante, che può esistere indipendentemente dal suo contesto relazionale, dalla tessitura continua di una rete sociale.
Se però si parte da questa immagine dell’individualità – dell’individuo isolato – che persegue l’obiettivo di massimizzare la soddisfazione del suo «interesse privato», come è possibile comprendere il senso dell’intreccio che tiene insieme individuo e società?
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