Le società in cui viviamo ci fabbricano e plasmano. Quanto spazio di manovra abbiamo per uscirne? In un tempo di nuovi muri, è importante chiedersi se siamo irrimediabilmente chiusi nei contesti a cui apparteniamo e soprattutto chiederci se ha ancora un senso parlare di fratellanza e di una comune umanità.
Ad aiutarci a comprendere cosa ha da dire l’antropologia per la comprensione del mondo che viviamo, nell’età dell’interdipendenza globale e della condivisione digitale, ci sarà Adriano Favole*.
Insieme a lui, sarà possibile aprire uno spazio di riflessione su come la nozione di “cultura” ci consenta di ripensare oggi il “legame sociale”, la forza del nostro vivere insieme, come processo di costruzione aperto – di incontro – dell’essere umano.
* Adriano Favole è vice direttore per la Ricerca presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società e insegna Antropologia culturale e Cultura e potere all’Università di Torino. Tra le sue ultime pubblicazioni: La bussola dell’antropologo (2015); Vie di fuga. Otto passi per uscire dalla propria cultura (2018). Per saperne di più qui.
1. …per sperimentare diversità e somiglianza del nostro essere umani
Uscire dalla propria cultura. L’antropologia è questa via di uscita. Un’esperienza dell’”altrove”. Un fare esperienza della diversità e della somiglianza di forme culturali “altre” della nostra comune umanità.
Una scoperta, questa, che, per Adriano Favole, non è un’esperienza esclusiva dell’antropologo.
È un’«esperienza di immersione» culturale, che ci chiama in causa, chiama in causa il nostro stare al mondo. E, perciò, dal metodo di osservazione dell’antropologia c’è molto da imparare.
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2. Lo sguardo reciproco: un’esperienza sul campo
Una ricerca antropologica di Adriano Favole – la sua prima – a Futuna in Polinesia tra i1 1996 e il 1997. Un “fare campo”, dove il guardare a sé stessi si fa attraverso lo sguardo dell’altro.
Ed è proprio nell’incrocio degli sguardi – dove ognuno è per l’altro immagine dell’Altro – che si fonda il gioco stesso dell’antropologia: scoprire sé stesso come altro, diventare straniero a sé stesso – in un percorso di decentramento dello sguardo, come strumento per uscire dalla propria cultura.
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3. Qual è l’interesse dell’antropologia, oggi?
Esistere ancora un’antropologia dell’«altrove» in un mondo globale?
Per Adriano Favole, l’antropologia può ancora offrire uno sguardo originale sulla realtà della globalizzazione, sulla crescente interdipendenza dei processi globali che governano il mondo.
All’interno degli incroci delle società umane – per altro, da sempre presenti nella storia – ciò che permane oggi è ancora sempre la creatività delle culture, la loro capacità, ricca e plurale, di dare senso alla formazione delle identità nel presente in cui viviamo.
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4. Il bisogno di avere vie di fuga…
Via di fuga, per Adriano Favole, come metafora dell’antropologia. Via di fuga come arte o strumento di conoscenza: quella dell’esploratore, dell’eremita, dello sciamano, dell’artista, dell’emigrante, del pellegrino o anche solo del turista.
Ogni figura dice il bisogno di mettere in discussione l’ordinaria percezione della realtà o anche solo l’ordinaria necessità di rispondere sempre di séstessi, che governa la nostra vita quotidiana.
Bisogno di vie di fuga, al plurale: da giovanile ricerca di libertà a semplice evasione fino a critica radicale della società.
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5. Fuggire da cosa? Per andare dove?
Difficile dire oggi da cosa, a livello globale, c’è bisogno di fuggire. Anche là, dove sono evidenti la povertà, la fame, le guerre. E ciò perché questo sistema planetario di oppressione, fatto di profonde disuguaglianze sociali e crisi economiche ricorrenti, si presenta come una condizione inevitabile della realtà del mondo. Qualcosa rispetto a cui non c’è alternativa.
Difficile, quindi, risalire a una responsabilità diretta, un centro di potere. Ciò ci insegna che la forma capitalistica di conduzione del mondo è una struttura impersonale, segnata dal dominio dell’astrazione – le sue pure relazioni di denaro, del mercato del denaro; ma, altrettanto, che occorre non dimenticare che tale struttura non può esistere senza la nostra complicità.
Allora, in questa fase di trasformazione del mondo, è possibile sapere dove andare? La catastrofe ambientale annunciata è un orizzonte invalicabile, rispetto a cui, per Adriano Favole, è possibile formulare qualche criterio per “tracciare” una rotta per una nuova convivenza del vivente. Due libri a fare da guida: Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica di Bruno Latour (2017) e Somiglianze. Una via per la convivenza di Francesco Remotti (2019).
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