Perché parlare di «economia di genere» (o gender) e non di «economia femminista»?
Le due definizioni, in effetti, non coincidono.
Ma qual è l’apporto della filosofia femminista, negli anni ‘70 e ’80, all’economia di genere?
La filosofia femminista ha contribuito a riformulare il paradigma della razionalità stessa – importante in economia in quanto «l’economia è la “scienza” – come dice Giandomenica Becchio – della scelta in presenza di una situazione di scarsità di mezzi». Come vi ha contribuito? Nel teorizzare il superamento di uno stereotipo fondamentale, interno alla civiltà occidentale: quello del dualismo in base a cui la razionalità è un’attribuzione solo “maschile” e l’emotività un’espressione solo “femminile” – una questione culturale che perpetua il sistema di dominio della società patriarcale, e che è alla base del grande divario di genere (gender gap) in economia.
Ma l’estensione effettiva di questa critica alla società attuale, per Giandomenica Becchio, richiede una vera e propria rivoluzione culturale, a partire dall’educazione. E quali allora potrebbero essere le conseguenze in economia?
(3, continua)