È vero, la categoria di legame – del legame sociale – vive oggi di uno strano paradosso. Da una parte, la nostra è la società delle reti, dell’interconnessione globale, una reciproca e universale dipendenza degli individui e delle loro attività, che ha ormai il potere di modellare l’intero assetto naturale del globo terrestre; dall’altra, questo “sistema di ricambio sociale generale”, “questo ricambio materiale e spirituale” che è, insieme, una connessione naturale, si è sviluppato finora proprio in forza dell’estraneità e dell’indifferenza reciproca degli individui. È il trionfo dell’individualismo, l’invenzione per eccellenza della modernità.
La unità sociale degli esseri umani si presenta come qualcosa di antitetico. Che mette in crisi l’idea di identità, e genera ansia nell’esperienza personale. E il senso del legame sociale sembra destinato a oscillare tra «coesistenza» e «convivenza» e, nella nostra società, fortemente individualistica, non fa che prevalere la dimensione della sola coesistenza.
Come pensare allora diversamente il legame sociale? Per Francesco Remotti, in una situazione di coesistenza, il criterio è la separazione, in quella della convivenza, è il coinvolgimento.
E, ancora, come pensare la «pienezza delle relazioni» del singolo soggetto? Se, appunto, in questa fase storica, la connettività globale sembra ergersi contro la singola persona, come non rimanere fermi alla percezione di uno svuotamento, e continuare ad avere nostalgia di una perduta pienezza?
Francesco Remotti ci offre, a partire proprio dal significato etimologico di “singolo”, un’immagine risolutiva.
(8, continua)